Oggi in Spagna domani in Italia

A Madrid la recessione è finita e l’agenzia di rating S&P’s

promuove il debito pubblico.

 Il premier conservatore Rajoy insiste sulle riforme: contratti flessibili à la Marchionne per rilanciare l’export, aiuti europei per ripulire le banche e attrarre i capitali stranieri, margini di manovra dalla Ue sul deficit. Pure la sinistra italiana lo nota

“Mea culpa, o mea maxima culpa”, implora fin dal titolo il report che la banca d’affari Goldman Sachs ha dedicato dieci giorni fa alla Spagna, anticipando la promozione di Standard & Poor’s che ieri ha ritoccato da “negativo” a “stabile” l’outlook sul paese iberico. Non capita spesso, anzi quasi mai, che la banca d’affari americana faccia autocritica confessando di “aver commesso molti errori”. Ma stavolta l’infortunio è stato grosso perché le cose a Madrid sono andate in maniera ben diversa da quel che prevedeva la Cassandra di Wall Street: “Il peggio deve ancora arrivare”, intimava qualche tempo fa Goldman Sachs suggerendo a Mariano Rajoy di sottoporsi alle terapie degli ispettori dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale per scongiurare il default. Al contrario, la Spagna ha fatto quasi tutto da sola, “con un impegno nelle riforme che ci ha spiazzato” ammette la banca d’affari.

La ripresa di Madrid ha aspetti sorprendenti: alla fine del terzo trimestre di quest’anno, il paese è ufficialmente uscito dalla recessione, il tasso di crescita del pil ha fatto segnare un più 0,1 per cento, cui dovrebbe seguire un più 0,3 per cento da ottobre a fine anno. Grazie soprattutto al boom delle esportazioni che ha riportato in attivo la bilancia commerciale: da un passivo del 2 per cento a un surplus del dieci. Merito dei bassi salari, ma non solo. La riforma del lavoro spagnolo, a differenza di quella varata in Italia, ha premiato anche i contratti a tempo determinato, con un occhio di riguardo sul fronte fiscale per le piccole imprese che assumono part-time, favorendo un forte recupero della produttività grazie alla flessibilità. Allo stabilimento della Ford a Valencia, nel 2012, in un momento di stanca della domanda, i lavoratori sono stati lasciati a casa cinque giorni, uno stop recuperato lavorando cinque weekend di fila in primavera. E’ l’effetto dell’accordo quinquennale con i sindacati che ha convinto Ford a scegliere la città spagnola nel 2011, cioè nel momento peggiore della crisi europea. E’ innanzitutto l’auto, del resto, la carta giocata dalla Spagna per colmare il vuoto dell’edilizia. Dalle catene di montaggio delle fabbriche d’auto Volkswagen, Peugeot, Renault, General Motors, Toyota e così via usciranno quest’anno 2,2 milioni di vetture, per un valore pari al 10 per cento della produzione industriale spagnola.

“L’economia si sta spostando dalla dipendenza dal settore delle costruzioni, che ha portato alla bolla immobiliare dei primi anni Duemila – scrive l’Espresso, settimanale liberal diretto da Bruno Manfellotto, in un’inchiesta intitolata ‘Che forza il Made in Spagna’ – Verso un modello economico più sostenibile, basato sul turismo e sulle esportazioni di prodotti ad alto valore aggiunto”. Anche Matteo Renzi, segretario in pectore del Pd, di recente ha fatto innervosire il presidente del Consiglio Enrico Letta dichiarando: “Forse in condizioni peggiori delle nostre, la Spagna ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra”. Certo, la disoccupazione si mantiene su livelli stellari, sfiora il 27 per cento, ma non cresce più. E l’enorme stock di case invendute è in via di smaltimento, grazie agli acquisti dei private equity americani a caccia di investimenti a buon prezzo. La creazione della “bad bank”, in cui sono confluiti gli immobili invenduti in mano alle banche, garantisce qui – a differenza che in Italia – un’offerta “pulita” e di grandi dimensioni.

Crescono intanto gli investimenti dall’estero, raddoppiati rispetto a dodici mesi fa; mentre scende il debito privato, dal 230 al 200 per cento, una delle eredità più amare della bolla del mattone. La crisi morde ancora, ma Madrid, che a differenza dell’Italia ha chiesto di essere esentata dal tetto del 3 per cento sul pil previsto da Maastricht, quest’anno chiuderà con un rapporto deficit/pil del 6,5 per cento, lontana dai canoni di Bruxelles ma assai meglio del 2011, quando lo sbilancio era dell’11 per cento. Un taglio netto, reso possibile anche dal machete sui costi dello stato, stipendi pubblici inclusi.

La recessione, di sicuro, fa meno paura. Anzi, il ministro delle Finanze, Luis de Guindos, si è spinto a dire che “il primo anno di vera crescita sarà il 2014: c’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona strada”. Lo spread tra Bonos spagnoli e Bund tedeschi è sceso dai 700 punti raggiunti all’apice della crisi fino allo stesso livello di quello italiano (attorno ai 240). Goldman Sachs ha aggiunto: “Spagna Ok, chi ha deluso è l’economia italiana”. Opinione condivisa da S&P’s che per l’anno prossimo non vede problemi per Madrid ma mantiene il giudizio negativo su di noi. Perché? Esiste un segreto di Madrid? Oppure, per riecheggiare Carlo Rosselli, la guerra contro la recessione si combatte “oggi in Spagna, domani in Italia”? Certo, pesa la scelta, coraggiosa, di chiedere l’aiuto (e la connessa supervisione) dell’Unione europea per mettere ordine nel settore bancario. L’operazione ha avuto finora un esito positivo: Madrid, che da gennaio uscirà dalla lente della Ue, ha utilizzato solo 41 dei 100 miliardi messi a sua disposizione per far pulizia. Ieri il governo ha annunciato il via libera a un meccanismo di credito d’imposta per rafforzare ancora il capitale delle banche nazionali e arrivare con i bilanci in ordine all’appuntamento degli stress test europei.

Un’operazione tutt’altro che indolore, che ha spezzato i poteri locali delle cajas, a partire dai legami con il mondo degli impreditori edili. Un’operazione che ha infranto equilibri vecchi e nuovi: è stata imposta, per esempio, la cessione dei pacchetti azionari delle banche in Iberia, ormai sotto il controllo di British Airways. Senza danni per il turismo, che quest’anno ha celebrato il record storico degli arrivi dall’estero (anche per via aerea). Insomma, tante cose, seppur non tutte, a Madrid le hanno fatte. Inclusa la promessa di un taglio delle tasse sul reddito nei prossimi due anni. In Italia, resta tutto in lista d’attesa.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Ugo Bertone, 2 dicembre 2013 - ore 15:10

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