Vogliamo un ultimo capolavoro

Napolitano, i parrucconi, il vuoto istituzionale,

lo sfascismo paludato. Perché il comunista che ha salvato l’Italia può lasciare un segno finale per andare alle urne in tempi serrati e trasmettere un lascito

L’insistenza di Giorgio Napolitano nel voler tenere in piedi una legislatura nata sghemba e che non trova un equilibrio ragionevole si sta trasformando in ostinazione. La differenza tra un disegno politico perseguito con decisione e persino con qualche forzatura e un’azione dettata da una volontà di prevalere a dispetto di tutto e di tutti sta nel rispetto del principio di realtà, che è stato il pregio fondamentale della personalità di Napolitano e che sembra svanire progressivamente in queste ultime settimane. Dopo l’esito problematico delle ultime elezioni e la conseguente incapacità della leadership del Partito democratico di gestire l’insuccesso, anche arrivando a un blocco nell’elezione del presidente della Repubblica, Napolitano ebbe l’intuizione e la forza politica di proporsi come garante di un governo, di una maggioranza e di un patto di pacificazione.

I poteri non elettivi e i parrucconi del conservatorismo istituzionale si sono opposti a questo disegno e lo hanno fatto fallire, forse anche per qualche omissione del Quirinale che non li ha contrastati con l’energia necessaria, finendo per apparire se non dietro, al di sopra di questa “congiura”.

Il garante della sovranità nazionale, che in un regime democratico è conseguente alla sovranità popolare, si rende conto che l’Italia rischia sempre più pesantemente di cedere su ambedue le frontiere. I suoi recenti appelli critici a un cambiamento di paradigma dell’Unione europea, dai toni tanto differenti da quelli impiegati fino a poche settimane fa sullo stesso tema, sono la prova della sua consapevolezza. Il principio di realtà dice che non può essere il governo di Enrico Letta, dopo aver perso un’ala decisiva della sua maggioranza originale e quindi essendo privo di una corrispondenza alla sovranità popolare, a reggere lo sforzo necessario per invertire la logica merkeliana dell’austerità deflazionistica, come chiede con forza anche Matteo Renzi. Lo spazio che resta al governo, secondo il principio di realtà, è quello di favorire un dialogo che porti al più presto alla approvazione di una nuova legge elettorale e subito dopo a nuove elezioni. L’alternativa, quella di un esecutivo tenuto in vita artificiosamente da una respirazione bocca a bocca del Quirinale accentuerebbe il suo carattere di governo imposto dalla vittoria di giustizialisti, parrucconi e subalterni alle pretese dell’egoismo tedesco. Napolitano probabilmente fatica a prendere atto della mutazione che ha subìto il suo disegno originale, ma questo lo porta fuori dall’osservanza di quei princìpi di realismo ai quali sono legate le sue azioni e le sue iniziative più lodevoli. Il suo secondo mandato, che era legato a quel disegno, ora non ha più ragion d’essere. Il comunista che ha salvato l’Italia può lasciare un segno finale della sua presenza esercitando tutta la sua autorità perché venga ripristinata una legge elettorale maggioritaria, come hanno deciso un referendum e diverse maggioranze parlamentari, evitando il ritorno a un meccanismo proporzionale paralizzante, che pare imposto da una decisione a stretta maggioranza della Consulta, che in ogni caso non può assumere neppure indirettamente la potestà legislativa. Con una legge elettorale corrispondente all’esigenza di assicurare la governabilità e la rappresentatività, ci sarà finalmente di nuovo lo spazio per l’esercizio della sovranità popolare, per l’elezione di una nuova rappresentanza nazionale in grado di superare la supplenza esercitata da Napolitano, che potrà quindi realizzare il suo primitivo disegno di ritirarsi da una vita pubblica ragguardevole per dare anche in questo modo il segnale di un avvio di restaurazione della fisiologia democratica. Se anche fosse necessaria qualche forzatura per ottenere una legge elettorale adeguata, in un panorama politico che tende alla frammentazione, sarebbe l’ultimo esercizio di un potere oggettivamente straordinario del Quirinale, impiegato per difendere la sostanza della funzionalità democratica, insidiata dallo sfascismo paludato dei parrucconi.

FQ. di Sergio Soave, 12 dicembre 2013 - ore 06:59

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata