Modalità bambino. Urge manuale di sopravvivenza

per i milioni di trentenni ancora sdraiati sul divano dei genitori

La stanza con i poster attaccati sul muro con lo scotch, il letto a castello in cui dormivi con tuo fratello, il piumone a quadretti rossi e i dorsi dei libri del liceo che spuntano per ricordarti che sei ancora lì, a casa dei tuoi genitori. Oppure che ci sei ritornato, dopo anni, perché le cose sono andate storte, l’affitto è aumentato troppo, o perché serve un periodo di assestamento, di convalescenza da un dolore o di riposo assistito (lavatrici, pasti caldi, pantaloni stirati e piegati sul letto, perfino i gomiti dei maglioni rammendati). In un libretto divertente (“Le cazzate che dice mio padre”, Justin Halpern) un papà riaccoglie il figlio, ventotto anni, nella casa natìa: “Lo sai che puoi stare qui. Ti chiedo solo di non seminare i tuoi stracci puzzolenti, non voglio vedere la tua camera da letto ridotta tipo postumi di un’ammucchiata. A proposito, mi dispiace che la tua ragazza ti abbia scaricato”.

A ventotto anni, anzi fino ai trentaquattro, si è considerati ancora giovani adulti, e le statistiche dicono che sempre più young adult vivono, o tornano a vivere, a casa dei genitori. In Inghilterra è una specie di allarme, con percentuali spaventose di ventinovenni a casa della mamma, il Guardian ha dedicato a questo tema una serie di articoli (perfino chiedendo agli young adult di condividere foto della cameretta, per sapere se è ancora come quando erano piccoli, o forse per umiliarli maggiormente), e ci si interroga sull’emergenza: gli affitti, la crisi, il lavoro che manca, ma anche la tendenza a lasciarsi proteggere, coccolare e nutrire un po’ troppo a lungo (in Italia le percentuali di figli molto cresciuti che vivono ancora con i genitori sono ben più alte). Serve una guida per la sopravvivenza, dei figli e dei genitori, serve un manuale per non impazzire, quando a trent’anni ci si sente dire: non fare tardi stasera, a che ora torni, con chi esci?, e quando a sessanta si trova, in bagno, la montagna dei vestiti sporchi che il trentenne ha abbandonato, con l’incrollabile certezza e senso del diritto di ritrovarli, di lì a poche ore, lavati, stirati e profumati. Si può essere già calvi, ma a casa dei genitori si ritorna in un baleno bambini dispotici che mettono il broncio se per cena non ci sono le patatine fritte.

Così, la prima regola del Guardian è: non mettetevi nella “modalità bambino” solo perché quella è la casa in cui siete stati bambini. Non lo siete più, da molto tempo. Fate la vostra parte di lavori domestici: il letto, i piatti, le lavatrici. Anche se ci sono madri così felici di avere i figli a casa, così rivitalizzate nel loro ruolo, da bussare alla porta, la mattina, con un vassoio con sopra la colazione. Le regole, quindi, valgono anche per i genitori: comportiamoci, tutti, da adulti. Niente caffè a letto, niente paghetta il sabato pomeriggio, nessuno svuotamento amoroso della sacca della palestra. Uno young adult dovrà, inoltre, risparmiare il più possibile (a meno che i genitori gli chiedano l’affitto della stanza) per andare in fretta verso la sua vera vita (“Se stai lavorando, vivendo a casa e non metti via un centesimo, andrà a finire male”) e dovrà avere sempre un piano di fuga per i momenti difficili. Invece di prendere a pugni il muro o lanciare contro la porta il mappamondo, come quando eravamo adolescenti, perché nostra madre non ci capisce o nostro padre guarda la tivù a volume disumano, il piccolo adulto deve tenere le valigie sempre pronte. Così i genitori, liberati, potranno trasformare la cameretta in studio. O, se si sentono soli, se la madre ha bisogno di vedere gente giovane per casa, affittarla a uno studente. O a un altro young adult in difficoltà. Si potrà, poi, provare un po’ di nostalgia per quel letto a castello con il piumone a quadretti, ma sempre con una specie di trionfo adulto nel cuore.

FQ. di Annalena Benini   –   @annalenabenini. 26 gennaio 2014 - ore 10:30

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