Avventure della rottamazione. Perché il Cav. non ha

fatto saltare tutto? La chimica con Matteo

e la vera origine della sintonia profonda

Fosse stato un altro, fosse stato uno come Massimo D’Alema, come Walter Veltroni, come Pier Luigi Bersani, uno come qualsiasi altro volto della vecchia filiera, della vecchia ditta, del vecchio apparato, del vecchio usato sicuro, ieri mattina Silvio Berlusconi si sarebbe comportato come tutte le altre volte: avrebbe trasformato il patto con l’avversario in un irresistibile pacco, e avrebbe fatto diventare la sua affettuosa stretta di mano in uno spietatissimo e cordialissimo abbraccio mortale. Invece no. Invece ieri, subito dopo pranzo, Margaret Berlusconi e Tony Renzi si sono nuovamente parlati, si sono nuovamente spiegati e, ancora una volta, si sono piaciuti da matti e hanno trovato l’accordo. Il patto. L’Italicum. Il Forza Renzellum. L’accordo prevede quello che si sapeva, ce ne occupiamo qui, ciò che qui ci interessa non riguarda il dettaglio ma riguarda il perché. Il perché non tanto di Renzi, che si capisce, ed è un perché che ha la forma di una ruspa. Ma il perché di Berlusconi. Su, pensateci. Razionalmente a Berlusconi sarebbe convenuto fare come le altre volte: accordarsi con l’avversario, spaccare il partito del nemico, approfittare della solita divisione generata dall’accordo con il Caimano, poi portare l’avversario a un passo dall’accordo e far crollare tutto, lasciando in slip l’avversario e raccogliendo i frutti del mancato accordo. Frutti, in questo caso, formidabili: fine possibile del governo, Pd che salta per aria, voto con una legge, quella della Consulta, che sconviene a tutti tranne che al Cav. Invece no. Invece in Berlusconi è scattato un meccanismo diverso. Un meccanismo che si trova a metà tra la politica e la psicologia. Certo. La “profonda sintonia” sulle soglie, lo sbarramento, l’idea di limitare il potere dei piccoli partiti, di dare un calcio nel sedere ai signorucci delle correnti e di schiacciare, in nome del bipolarismo, i vari Casini e i vari Fini e i vari Alfanini sotto il peso di un mastodontico premio di maggioranza ha avuto una sua indiscutibile rilevanza. Ma la profonda sintonia riguarda altro, sfiora qualcosa di meno visibile, di più profondo e radicato. Il punto, eccolo il senso della chimica tra il Cavaliere nero e il Cavaliere bianco (copyright la Stampa), è che Berlusconi non vede Renzi, anzi “Matteo”, come un avversario. Ma lo vede per quello che è: un concorrente (copyright Asor Rosa), un rivale che gareggia con i colori di un’altra squadra ma che gioca sullo stesso campo, nello stesso stadio, e soprattutto nella stessa categoria del Cav. Renzi e Berlusconi, da questo punto di vista, hanno lo stesso stile di decisionismo monocratico, lo stesso stile di carisma aziendalista, la stessa vocazione al piacionismo, la stessa propensione, deliziosa, a mentire sapendo di smentire, la stessa lontananza dalla politica intesa come pratica pedagogica, la stessa esasperata attitudine a voler far coincidere il proprio cognome con la parola “nuovo” e la stessa inclinazione a non voler raddrizzare gli italiani ma a voler, piuttosto, raddrizzare l’Italia. Fino a qualche tempo fa dire “Vai, Matteo”, per il Cav. era un modo astuto per enfatizzare le lacerazioni e i tormenti della sinistra e dare un contributo alla smacchiatura degli smacchiatori di giaguari. Oggi invece – oggi che Matteo piace a sinistra ma piace anche ai suoi amici, ai suoi figli, e tanto a Barbara Berlusconi quanto a Flavio Briatore – per il Cav. dire “Bravo Matteo” è diventato il modo migliore non per legittimare Matteo ma per dare una nuova linfa, una nuova legittimazione, a un leader combattuto con l’interdizione da nemici e Arcinemici in toga e no, decaduto e impelagato in mille pasticci giudiziari. Chi ha fatto delle passeggiate sull’Aventino la propria cifra politica, il proprio tratto distintivo, oggi è ancora lì che, in mezzo alla foschia, urla e strepita contro Renzi, rimproverandolo di aver fatto risorgere il Caimano, ma senza capire che anche per Renzi aprire le porte di casa sua a Berlusconi, e firmare un contratto con il Cav., non ha significato violare il corpo della sinistra ma ha significato, più semplicemente, legittimarsi con gli elettori del proprio avversario e aprire, a loro sì, le porte della sinistra. Dire che il renzismo è il proseguimento del berlusconismo con altri mezzi è esagerato ma non è invece esagerato pensare questo.

Sa, Berlusconi, che questa legge elettorale (forse) potrebbe anche convenire a Renzi, sa che questa legge (forse) potrebbe allungare la vita del governo e chissà che questa legge per alcuni aspetti (forse) potrebbe essere peggiore per lui di quella uscita dalla Consulta (preferenze a parte, il Cav. le odia). Ma sa inoltre che oggi siamo in una fase diversa della politica e della vita politica in cui è entrato vent’anni fa. Dove le rughe sono state offerte ai fotografi dei grandi settimanali e dove il Cav.  per combattere la decadenza da parlamentare e altri guai deve necessariamente indossare i panni del padre della patria. E così, senza difettare di immodestia, Berlusconi ha lo sguardo di chi è convinto che tra lui e Renzi ci possa essere un passaggio di consegne simile a quello che un tempo ci fu tra la signora Thatcher e il signor Blair. Di chi pensa che forse Matteo non ce la farà a vincere con tutti quei compagni sull’Aventino ma che, se anche dovesse capitare, lasciare il paese in mano a Matteo sarebbe meno preoccupante che lasciarlo ai nemici e Arcinemici di sempre, ringalluzziti dai pm. Lo sguardo, insomma, di chi ha capito una cosa semplice: per chi vuole essere ancora popolare, oggi non c’è nulla di più impopolare che andare contro il leader che realizza la popolarità trasversale. Perché il campo è lo stesso. Il terreno è lo stesso. Lo stadio è lo stesso. A competere con lui ci si guadagna. E in giro ci potranno essere tutte le tutine bianche più belle del mondo. Ma c’è poco da fare. Quando il Cav. vede Matteo vede se stesso. E per questo strozzare Matteo oggi, o meglio ieri, sarebbe stato davvero un po’ come strozzare se stesso.

FQ. di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 30 gennaio 2014 - ore 06:59

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