Al governo o al voto? Il Pd, Letta

e l’impossibile terza strada di Renzi

La spinta sulla legge elettorale, il patto, la convivenza forzata e i veri rischi di non andare veloci verso le elezioni

I gol in mezza rovesciata con doppio salto carpiato e triplo avvitamento mortale sono colpi da maestro che riescono poche volte nella vita e che solitamente si manifestano quando il giocatore è molto carico, decisamente in forma, sente l’affetto del gruppo, la stima dell’allenatore, la fiducia del pubblico. E quando insomma la congiuntura astrale è particolarmente favorevole e tutto, molto semplicemente, gira per il verso giusto. Da un certo punto di vista, la partita giocata da Renzi sulla legge elettorale, al di là del giudizio che ognuno può esprimere rispetto al contenuto della legge, presenta molte caratteristiche che richiamano l’azione di cui sopra. E non c’è dubbio che riuscire ad approvare in poco meno di tre mesi una legge che non si riusciva a cambiare da un po’ di anni sarebbe uno di quei colpi da maestro che, solitamente, riesce poche volte nella vita. Nel caso di Renzi, però, la congiuntura astrale dipende non solo dalla forma e dall’affetto del gruppo e dalla fiducia del pubblico ma dipende soprattutto da due parole con cui gioca spesso il segretario del Pd. Due parole che però, se non usate nel modo giusto, potrebbero trasformarsi in una trappola, e dunque in un autogol: vocazione maggioritaria. Nel caso specifico, la vocazione maggioritaria è una chimica generata dalla presenza contemporanea di almeno sei fattori: freschezza, entusiasmo, legittimazione popolare, ambizioni bipolariste, desiderio di governare e volontà di muoversi sul campo non come un soldato semplice, un normale segretario, ma come un candidato premier in servizio permanente effettivo. Quando però un teorico della vocazione maggioritaria si ritrova con molta freschezza, molto entusiasmo, molta legittimazione popolare, molte ambizioni bipolariste ma senza la possibilità né di poter governare, né di sprigionare la propria forza in una campagna elettorale, né, altro punto importante, far coincidere il ruolo di segretario con quello di premier, le strade sono queste: o far cadere il governo, o prendere in mano il governo o rimanere ostaggio del governo. E allora eccolo il punto: Renzi davvero può permettersi di giocare con la vocazione maggioritaria senza far cadere il governo e senza neppure prendere in mano il governo? E soprattutto: Renzi, una volta incassata la legge elettorale, avrà davvero la forza di realizzare tutti questi gol con doppio salto carpiato senza riuscire a essere, a breve termine, né candidato premier né presidente del Consiglio? Renzi, si sa, non è un pianificatore, ragiona con la logica del giorno per giorno, del passo dopo passo e in fondo ama il rischio al punto da non aver paura di affrontare situazioni complicate, se non quasi impossibili. Eppure nella traiettoria di Renzi si percepisce una pericolosa contraddittorietà della parabola politica e in questo senso risulta naturale immaginare che la forza sprigionata dal sindaco debba essere necessariamente liberata per non trasformarsi in una bomba, o meglio in un autocombustione. Voler far trottare questo governo, imporgli l’agenda, impostare un percorso di riforme è un atto meritorio ma per un leader che sostiene da sempre che sia impossibile fare le riforme con Quagliariello, che ritiene sia impossibile dare una scossa al paese con l’aiuto di Brunetta e che reputi le larghe intese il male supremo da combattere per dare nuova vitalità all’Italia; insomma, per un leader come Renzi, diventato segretario anche per il suo essere naturalmente un acceleratore della fine dei governi con Quagliariello e Brunetta, non sarà facile far coesistere all’interno di un patto di governo i custodi della politica del cacciavite e i garanti della politica del trapano. Diciamo che sarà quasi impossibile. E anche per questo la conseguenza di questo percorso è elementare, ed è questa.

Renzi, per non perdere la sua freschezza, la sua carica riformista ed evitare di rimanere intrappolato nelle grandi e piccole intese, dovrà convincersi che separare il percorso del Pd da quello del governo sarà piuttosto difficile e che insomma muoversi come segretario di lotta e di governo sarà una missione complicata (non si può essere allo stesso tempo Tony Blair e Gianroberto Casaleggio). Da questo punto di vista, una volta approvata la legge elettorale, per un leader come Renzi che da mesi sostiene che questo governo ha senso solo se fa, appunto, la legge elettorale, dovrebbe essere un dovere trarne le conseguenze. Nell’uno o nell’altro verso: o andando a votare o andando al governo. Si dirà: Renzi, però, potrebbe anche scegliere di percorrere con serenità la terza strada, quella di mezzo, quella dello spingitore di riforme, diciamo così, anche perché votare con la nuova legge elettorale senza avere in tasca la riforma del Senato sarebbe una pazzia (bugia: nel caso in cui si dovesse votare con l’Italicum senza abolire il Senato la legge elettorale prevede un trucco che garantirebbe la governabilità anche a Palazzo Madama, e in sostanza la ripartizione dei seggi avverrebbe con gli stessi criteri adottati alla Camera, non più su base regionale). Possibile che sia così. Ma accettare questa linea significherebbe, con buona probabilità, rinunciare alla politica del trapano a favore di quella del cacciavite. E significherebbe accettare anche di fare i conti con una situazione potenzialmente letale: con il centrodestra che potrebbe magicamente trovare una nuova forma (Alfano, Casini, Lega, manca solo Fini), con il Movimento cinque stelle che potrebbe magicamente trovare una nuova legittimazione (e senza che Renzi si candidi come capolista alle Europee per il Pd sarà molto difficile gareggiare con gli avversari), con le forze di sinistra che potrebbero magicamente riorganizzarsi in autonomia dal Pd (ma questo sembra più complicato) e con un segretario del Pd che promette di regalare spettacolo al pubblico pur sapendo che il tempo è spietato, che le rovesciate riescono solo ogni tanto e che quella congiuntura astrale favorevole che ti permette di realizzare doppi salti carpiati con tripli avvitamenti mortali un domani potrebbe anche non esserci più. Impegnarsi a fare le riforme, ovviamente, è di per sé un atto rivoluzionario (anche se dovrebbe essere chiaro che i posti di lavoro non si creano né con una soglia di sbarramento né con l’abolizione del Senato). Ma per un attaccante come Renzi scendere in campo promettendo di fare molte rovesciate e ritrovarsi poi a fare il terzinaccio sarebbe il modo migliore per non vincere la partita. Specie poi se la squadra con cui giochi è la stessa a cui rimproveri da tempo di non essere mai riuscita a fare una cosa semplice: buttare la palla in rete. Berlusconi ovviamente lo sa. Ed è per questo che, sotto sotto, l’idea che l’amico Matteo possa finire nella trappola e nella palude del governo è una di quelle ragioni che porta Berlusconi a non essere così impaziente rispetto alla possibilità di andare presto al voto e regalare così a Renzi la possibilità di alzarsi in aria e preparare una mezza rovesciata facile facile.

FQ. di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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