Il lato oscuro dell’Iran che negozia

Teheran apre all’Agenzia atomica ma lancia missili nuovi,

prova centrifughe migliori e nasconde il sito nucleare con più segreti

L’Iran fa balzi in avanti nei negoziati con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ma allo stesso tempo insiste a usare toni così minacciosi nelle dichiarazioni – per non sembrare arrendevole e pronto al compromesso – da rischiare di distruggere ogni progresso. Se continua così potrebbe finire per sabotare il patto provvisorio sul nucleare in vigore adesso e per eliminare anche la possibilità di negoziati reali, previsti per dopo il 20 luglio. Domenica il governo di Teheran ha annunciato che risponderà finalmente alle domande che evade da anni sui detonatori per armi nucleari in suo possesso e sul perché ha bisogno di averli. I negoziatori iraniani dopo due giorni di incontri, venerdì e sabato a Vienna, hanno acconsentito anche su altri sei punti: tra le concessioni più importanti gli ispettori delle Nazioni Unite potranno accedere alla miniera di uranio di Saghand, al sito atomico di Ardakan e al centro laser di Lashkar Ab’ad; e i tecnici di Teheran risponderanno a un questionario sul reattore ad acqua pesante in costruzione ad Arak. Sono tutte misure definite di “confidence building”, per rafforzare la fiducia – gracile – fra le due parti, la loro data di scadenza è il 15 maggio e mescolano le questioni tecniche con il balletto geopolitico permanente che si danza fra Teheran, Washington, Mosca, Bruxelles e altre capitali. Ma ieri il presidente Hassan Rouhani ha annunciato il lancio di prova di due missili a lungo raggio che ha definito “di nuova generazione”, e la notizia si somma all’inaugurazione di centrifughe migliori per l’arricchimento dell’uranio – definite “15 volte più potenti delle attuali”. Fuori dall’accordo rimane anche il pezzo più importante del programma atomico: l’impianto di Parchin, a sud di Teheran. Secondo i servizi segreti occidentali è il sito usato ora per testare i progressi del programma, ma il personale delle Nazioni Unite lo ha visitato due volte nel 2006 e poi più nulla.

La leadership iraniana ha anche altri clienti da accontentare, interni ed esterni, non soltanto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Così in un’intervista in televisione uno dei negoziatori atomici più in vista, il viceministro degli Esteri Abbas Araghchi, ha detto con chiarezza che un accordo sul nucleare non equivarrà a una normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti. “Abbiamo problemi con gli Stati Uniti su dozzine di questioni, come la Palestina, la Siria, i diritti umani, l’egemonia globale, le loro richieste esagerate e il bullismo. Sono ancora tutte lì. Nulla è cambiato. Gli Stati Uniti d’America sono ancora il Grande Satana dal nostro punto di vista”.

C’è stato pure un cortocircuito mediatico. Come a volere rassicurare l’establishment militare iraniano, che teme di apparire indebolito, i media nazionali hanno lanciato la notizia di “navi da guerra iraniane in avvicinamento agli Stati Uniti”. I colleghi  americani non si sono tirati indietro e hanno rilanciato nei titoli con una fantomatica “flotta da guerra iraniana che fa rotta verso le coste americane”. In realtà si tratta di un incrociatore (sui tre che l’Iran possiede) accompagnato da una nave appoggio; entrambi hanno appena fatto capolino nell’Atlantico doppiando il Sudafrica. Ma di queste cose vive la nevrosi iraniana-americana.

Domenica le Guardie della rivoluzione, che sono le depositarie della linea politica più dura del paese, hanno approvato a sorpresa la riuscita di questi negoziati con l’Aiea: “L’apparato diplomatico ha incontrato le aspirazioni di ogni iraniano rispondendo esplicitamente, con fermezza e trasparenza, al nonsense che arriva dal fronte dei nemici. Specialmente le annotazioni stupide, minacciose e maleducate fatte dagli americani”, dice il comunicato. Oggi si celebra il trentacinquesimo anniversario della rivoluzione khomeinista e sono previsti grandi cortei in tutto il paese, e questo round di negoziati finito con successo non incontra resistenze come invece era successo a novembre.

Il presidente Rohani, l’uomo messo dalla Guida suprema Ali Khamenei a presidio della questione del negoziato sul nucleare – per sua stessa ammissione Rohani non può dire o fare nulla sulla Siria – continua con la sua offensiva suadente di pubbliche relazioni per conquistare il favore internazionale. La settimana scorsa ha vinto di prepotenza il tentativo di un nemico politico di fermare la messa in onda della sua intervista sulla tv di stato e ha fatto circolare la notizia di una donazione da 400 mila dollari all’ospedale ebraico di Teheran, luogo simbolo della presenza di ebrei in Iran, giusto dirimpetto a un seminario sciita con il quale sembra andare d’accordo.

FQ. di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 10 febbraio 2014 - ore 21:30

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