Il “prefetto” e il Bullo. Così Napolitano chiede a Renzi

la legge elettorale, prima dell’addio al Colle

Consultazioni lampo, lunedì l’incarico. Toti: “Si chiude anche il senso politico” di una lunga presidenza

Dove passa Giorgio Napolitano non può esserci disordine, e dunque il presidente si dimetterà, ma soltanto dopo la riforma della legge elettorale che – lo ha detto ieri e lo ripeterà a tutti nel corso delle consultazioni – va fatta “al più presto”. Per lui la politica, anche la più caotica, persino quella che si trova a dover gestire in queste ore dal Quirinale, si compone e si ricompone sempre in un rigido geometrizzarsi. E dunque il capo dello stato s’immerge nelle acque tumultuose dei partiti e le rimescola senza pietà. Ricevute ieri le dimissioni di Enrico Letta, senza passaggi parlamentari, il capo dello stato ha cominciato le rapide consultazioni, con i presidenti di Camera e Senato, colloqui che concluderà oggi. Lunedì l’inevitabile incarico a Matteo Renzi. Ma attorno al Quirinale fiammeggiano i dardi di Forza Italia e di Beppe Grillo. Dice Giovanni Toti al Foglio: “Chiuso il governo Letta si chiude anche il senso politico della stagione di Napolitano. Con il nuovo governo, la nuova leadership del Pd e gli accordi di riforma tra il centrosinistra e Berlusconi, ci vuole un nuovo presidente. Un sigillo su questa nuova fase che è forse di pacificazione”. Così, all’ombra del Quirinale, ritorna un mormorìo sordo che avvolge il nome di Romano Prodi, che ieri è arrivato a Roma e si è molto fatto vedere in giro. Ma Napolitano non ha intenzione di dimettersi, non a rischio di lasciare attorno a sé un panorama ancora più confuso di quello che aveva trovato al momento in cui, un anno fa, i leader dei principali partiti italiani, compreso Berlusconi, gli chiesero la disponibilità a essere rieletto. Da qui deriva l’insistenza sulla legge elettorale. “Va approvata al più presto”.

Il capo dello stato non considera le dimissioni di Letta un suo fallimento, come sembra invece suggerire Toti. Agli occhi del presidente della Repubblica, Renzi è piuttosto un’altra delle sue creature, malgrado la fretta del ragazzino (“tiene a neve ‘int’ a’ sacca”) lo rendano molto diverso, tra le tante altre ragioni, dai due predecessori, il tecnocrate e il diplomatico trasversale. E infatti Renzi, per Napolitano, è come Letta ed è come Mario Monti prima di lui, cioè un altro presidente del Consiglio da incaricare e guidare, nel marasma, verso un approdo di stabilità e di ordine istituzionale. Il presidente vegliardo prende atto degli equilibri parlamentari, e dunque adesso guarda Renzi con occhi che non esprimono consenso e nemmeno rifiuto o sorpresa: il ragazzino di Firenze incarna la fatica stessa della politica. Per Napolitano Renzi è un fatto, da gestire e trattare con il distacco protocollare delle regole d’una Repubblica parlamentare. “Dev’essere il Pd, partito di maggioranza relativa, a decidere chi è l’uomo indicato alla presidenza del Consiglio”, aveva fatto sapere nei giorni scorsi il presidente. E non è certo un caso che negli anni Sessanta i comunisti della capitale presero a chiamare Napolitano, con bonaria ironia, “il prefetto”, per via di quel suo modo di condursi che non aveva nulla di morbido, d’una rigidezza e d’una pignoleria démodé. Non si può guarire da se stessi.

Seneca sì, Grillo no

Negli ultimi giorni Napolitano ha adoperato pazienza. Ha preferito, finché è stato possibile, il metodo della persuasione: se avesse potuto avrebbe forse preferito evitare la staffetta. Ma il capo dello stato si è mostrato accorto, qualche volta addirittura sottile tra le onde alte del renzismo. E alla fine lo ha detto, rivolgendosi al Pd: “Decidete voi”. Il presidente ascolta, osserva, con un distacco in cui veramente non c’è alcun sottinteso di presunzione, solo un rispetto puntiglioso per i rapporti di forza dentro i partiti, tra i partiti, e in Parlamento. Per quanto strani, incongrui, persino un po’ selvaggi debbano apparirgli questi “rapporti di forza”. Opporsi non serviva a niente, ben altri santi si sono accorti che non si esorcizza il diavolo con le giaculatorie. Così, ieri, magro e con lo sguardo concentrato nelle orbite ossute, Napolitano ha ascoltato, ringraziato, e un po’ confortato Letta, al quale ha ricordato un passo di Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”.

Impermeabile alle polemiche, oggi incontrerà anche Silvio Berlusconi – che sarà pure condannato, ma è l’amministratore di dieci milioni di voti – ma non Grillo, che inclina molto più del Cavaliere alla cantilena nasale del colpo di stato. “Il governo Renzi è l’ultima chance. Se non riuscirà si dovrà tornare alle urne”, dice Matteo Richetti, deputato renziano. E’ l’eventualità che il presidente intende scongiurare con il suo governo, il governo di Renzi. “La riforma elettorale prima di tutto”, dice Napolitano. Poi ci saranno le sue dimissioni, ma soltanto a lavoro terminato.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 15 febbraio 2014 - ore 06:59

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