Il mondo si regge ancora sul dollaro,

altro che crisi americana

L’inesorabile crisi del dollaro, il suo declassamento da valuta di riferimento globale a moneta fra le monete, è un apocalittico luogo comune che gira dallo scoppio della crisi finanziaria. Gli Stati Uniti hanno un debito troppo alto, il clima politico di Washington è troppo instabile, la Fed usa con troppa disinvoltura politiche monetarie non convenzionali per sostenere la crescita, il biglietto verde non può mantenere il suo primato in questo mondo fluido e multipolare. Al dollaro si applicano ragionamenti analoghi a quelli riservati, più in generale, all’America e al suo posto nel mondo. Ma mentre il coro delle Cassandre intonava la sua parte, il dollaro ha sostanzialmente retto gli urti e i maggiori investitori globali non si sono rivolti ad altre valute-rifugio per evitare la catastrofe imminente. E l’economia americana rimane ancora il punto di riferimento per il sistema mondiale. Eswar Prasad, economista della Cornell University, spinge la tesi della resistenza del dollaro ancora più in là. La valuta americana non solo non si è indebolita, ma si è rafforzata, scrive nel suo libro “The Dollar Trap”, uscito di recente negli Stati Uniti.

“Com’è possibile – scrive Prasad – che la crisi finanziaria, che ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, abbia avuto l’effetto di accrescere il peso del dollaro nella finanza globale? Aumentando la domanda di asset sicuri in un momento in cui l’offerta scarseggiava anche nel resto del mondo, l’America si è ritrovata a esserne il principale provider”. In una situazione di incertezza e sfiducia, le economie emergenti si sono precipitate a investire in valuta straniera per non esporsi al rischio di una repentina svalutazione dei loro beni in questo clima imprevedibile. Il vituperato dollaro si è rivelato il più affidabile degli asset, ancora universale nella tempesta finanziaria. Sulla copertina di “The Dollar Trap” c’è un mucchio di dollari posati su una tagliola, e l’immagine non potrebbe essere più didascalica: il mondo è ancora legato al dollaro, e torna alla valuta americana anche se sa che vi rimarrà invischiato.

Il contrasto con le alternative al dollaro rende le osservazioni di Prasad ancora più convincenti: chi farà le veci del dollaro, l’euro scosso da turbolenze interne, la sterlina indebolita, lo yen e il franco svizzero, appositamente deprezzati dalle rispettive Banche centrali? Non sono attori in grado di vendere il bene più richiesto, la sicurezza, che rimane tutto sommato una prerogativa del dollaro, valuta che appare inevitabile come un destino. L’illustrazione classica del funzionamento della trappola riguarda la Cina, che detiene la più grande somma di dollari mai collezionata, 3,8 trilioni. Sono la garanzia nel caso il sistema bancario interno collassi. Ma il valore di quella riserva è legato direttamente al valore dei titoli del Tesoro americano che la Cina possiede in abbondanza (1,3 trilioni). Se il valore di quei titoli crolla, crolla anche il prezzo del dollaro, e con lui l’economia cinese. La Banca centrale cinese “si troverebbe di fronte alla prospettiva di perdite ingenti al suo portfolio se cercasse di divincolarsi dalla trappola del dollaro con reazioni sconsiderate”, scrive l’economista. Anche la vecchia storia dell’inquietante fetta di debito americano detenuto dai cinesi va letta attraverso la lente della trappola del dollaro, valuta di riferimento globale che non accenna ad abdicare. La crisi finanziaria ha indebolito tutti ma ha rafforzato la posizione monetaria dell’America, che attira tutti nella sua trappola, smentendo i frettolosi miti che raccontavano di un mondo atomizzato, multipolare, in qualche modo livellato dal crollo finanziario e alla ricerca di strumenti monetari più democratici e meno centralizzati, da Bitcoin in giù.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi, 14 marzo 2014 - ore 16:56

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