Le sentenze boccaccesche. La vita privata

del Cav. e il buco della serratura del gup di Bari

Sono state rese note le motivazioni (187 pagine) della sentenza del tribunale di Bari che nel dicembre scorso ha condannato un avvocato di Fasano, coinvolto nel famoso caso di favoreggiamento della prostituzione che ebbe a protagonista Gianpaolo Tarantini e per beneficiario, secondo le tesi d’accusa, Silvio Berlusconi. A colpire non è tanto la qualità del testo, tessuto di una ambiguità allusiva che è il contrario della precisione e della concretezza che dovrebbero caratterizzare un atto giudiziario. A colpire, ancora una volta, è soprattutto il tanfo di moralismo che ne promana, così distante da ogni logica e filosofia giuridica. Si legge ad esempio di “uno sconcertante quadro della vita privata di vari soggetti coinvolti nella vicenda, dalle ragazze sino all’allora presidente del Consiglio”. Si parla con pruderie d’altri tempi di “boccaccesche nottate”, si fustigano peggio che in confessionale “oscenità e bassezza” che, ove pure esistessero, non sarebbero comunque reati penali. Balza agli occhi il tono da quaresimale, il giudizio moralistico espresso gratuitamente sulla vita privata delle persone che, appunto perché tale, non dovrebbe essere oggetto di altezzose deprecazioni nella sede di un tribunale. Non manca infine la strizzata d’occhi alla “se non ora quando” nella “considerazione delle donne come semplici oggetti”. Eppure, nelle 187 pagine di Bari un insegnamento limpido c’è: in questo, come nei processi milanesi contro Silvio Berlusconi, la distorsione moralista ha voluto trasformare un racconto da scandalismo di serie B in uno strumento di persecuzione giudiziaria a scopo politico. Questa sì roba incivile. Viva le nottate boccaccesche.

© - FOGLIO QUOTIDIANO, 29 aprile 2014 - ore 06:59

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