Gli americani riprovano a fidarsi di un gruppo ribelle

Siria. Con molta discrezione, l’Amministrazione Obama sta piazzando

una scommessa su un gruppo di ribelli moderati che combatte nel nord della Siria. Il nome della fazione è Harakat Hazm, è comandata da un ex ufficiale dell’esercito di 28 anni che si chiama Abdullah Awda ed è stata scelta per ricevere una prima fornitura di missili controcarro americani, i Tow Bgm-71. Liz Sly, reporter del Washington Post, è entrata in quell’area della Siria per incontrare gli uomini dell’Harakat Hazm e dal suo reportage si capisce che è in corso un reset, un tentativo di azzerare la sfiducia che ha distrutto le relazioni tra americani e ribelli siriani. E’ una ripartenza difficile, ma c’è da considerare anche che tutti i piani di far negoziare il governo siriano e i ribelli sono falliti.

I ribelli dell’Harakat Hezm si comportano con la reporter come se fossero in audizione davanti al Congresso. Il comandante dice: “Voglio uno stato democratico che governi su tutta la Siria, con uguaglianza e libertà per tutti i cittadini, senza il fascismo e la dittatura”. Altri comandanti locali lo considerano “un duro”, che è riuscito a evitare le accuse di saccheggi e criminalità che hanno distrutto l’immagine di altri gruppi ribelli non islamisti. “Accompagnando la giornalista per il campo – scrive Sly – Awda si sforza di enfatizzare la disciplina, la struttura e la moderazione del gruppo, evidentemente nella speranza di ricevere altro aiuto dagli Stati Uniti”. Una fonte americana dice al Washington Post a proposito del gruppo: “Hanno passato il test”. Al quartier generale tutti i ribelli hanno divise identiche beige, hanno passato check-up medici, dormono in letti a castello e distribuiscono cibo e uniformi segnando tutto su moduli prestampati. Arrivano quattro reclute, tre sono uomini di altri gruppi che hanno visto i missili americani e ora vogliono unirsi. Il numero dei combattenti è 5.000, non è alto se paragonato alle fazioni maggiori – che arrivano fino a trentamila – ma non è basso se confrontato con il gruppo più temuto dai governi occidentali, lo Stato islamico.

Il Tow è un missile controcarro americano vecchio di vent’anni, pesante e meno efficace dei sistemi russi e francesi che i ribelli si sono procurati in altri modi. Non arrivano direttamente dagli Stati Uniti, ma dagli arsenali di paesi alleati di Washington e che hanno lo stesso interesse, se non di più, a fermare la guerra di Assad. Una fonte americana dice a Sly che comunque il governo è a conoscenza e ha approvato il trasferimento. Potrebbe essere inteso come un test, per vedere se è possibile fidarsi di un gruppo di ribelli siriani, o se le armi cadranno in mano ai gruppi jihadisti come accaduto in passato. Nel caso succedesse, non sarebbe un disastro. Gli uomini di Awda hanno preso l’impegno di restituire i contenitori di ogni missile sparato – una resa dei vuoti per dimostrare che l’arma è stata usata in combattimento, e non ha preso altre vie – di non venderlo e di proteggerlo dai furti. Per ora ne hanno usati sei, distruggendo sei carri armati dell’esercito di Damasco. “La cosa più importante non è il Tow in sé, è il cambio di politica. Indica che c’è un cambiamento nella disposizione americana verso gli amici della Siria e la loro volontà di aiutare il popolo siriano. E’ un effetto psicologico più che fisico”.

Non si capisce se questo test di moderazione e disciplina nel nord della Siria è abbastanza per cambiare il corso di una guerra che da tre anni è sospesa tra avanzate e ritirate simmetriche dell’una e dell’altra parte, come se entrambi i fronti – quello del governo e quello degli oppositori – non avessero le forze di arrivare a una vittoria definitiva. “Di’ al mondo – dice il comandante alla giornalista americana – che noi siamo differenti”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 30 aprile 2014 - ore 08:54

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