Noi tedeschi dobbiamo dare un’altra chance a Mosca

Le colpe occidentali in Ucraina, l’idea di una pace commerciale

tra Merkel e Putin, l’emancipazione dagli States

Il fatto che l’Unione sovietica si sia dissolta un quarto di secolo fa senza una guerra civile, così come il fatto che subito dopo la Russia abbia trovato la propria strada verso un’economia di mercato o che l’Europa dell’est sia riuscita a integrarsi nell’Unione europea sono – nel complesso – un dono che la storia ci ha fatto. Gli attori che oggi sono coinvolti nella crisi della Crimea farebbero bene a non dilapidare tutto ciò.

L’annessione della Crimea da parte della Russia, senza dubbio, è stata una violazione del diritto internazionale. La penisola in questione fu ceduta da Mosca all’Ucraina nel 1954 – allora tutto avvenne all’interno dell’Unione sovietica – e rimase parte integrante dell’Ucraina dopo il 1991, il che fu accettato da tutte le parti in causa. Una ridefinizione dei confini decisa in maniera unilaterale non può essere accettata in Europa. Tuttavia dev’essere tenuto a mente che la crisi attuale è stata scatenata dall’occidente. Negli ultimi anni, infatti, con le aperture della Nato nei confronti di paesi come Georgia, Moldavia e Ucraina, è stato di fatto minacciato un accerchiamento della flotta russa nel mar Nero, nell’unico porto sempre libero dal ghiaccio che sia a disposizione di Mosca. Se il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ritiene che la Russia sia soltanto una potenza regionale che dovrà sopportare tutto ciò, allora si sbaglia. La Russia infatti ha protestato con la stessa energia che utilizzarono gli Stati Uniti per protestare ai tempi della crisi dei missili di Cuba. Mosca, in Crimea, ha usato il grimaldello di un referendum popolare, ma le cose si sarebbero potute mettere molto peggio.

Dopo aver ucciso milioni di russi durante la Seconda guerra mondiale e dopo essersi fortunatamente avvantaggiati di un processo pacifico di riunificazione anche grazie al sostegno della Russia, oggi è compito in particolare della Germania ridimensionare il conflitto con Mosca. Eppure alcuni intransigenti – siano essi a Washington, a Bruxelles o a Mosca – hanno una loro agenda politica. La Nato può essere desiderosa di rimettersi in movimento, e le autorità del Cremlino non sono le uniche ad aver notato che i conflitti internazionali sono un modo efficace per distrarre l’attenzione dai problemi domestici. E’ positivo che il governo federale tedesco stia tentando di esercitare un’influenza moderatrice, rimanendo allo stesso tempo attento a non incrinare l’alleanza occidentale.

Se la Russia dovesse pianificare altre annessioni territoriali, allora dovremmo reagire con le sanzioni. Ma dobbiamo procedere con cautela: nessuno che sia ragionevole può essere favorevole alla destabilizzazione economica della Russia o a una guerra commerciale. Mosca infatti è già stata indebolita dalla fuga di capitali che si è verificata. E’ vero che la Russia è molto più dipendente dall’occidente di quanto non sia vero l’opposto, e questo nonostante il fatto che alcuni paesi dell’Ue, la Germania in primis, ottengano un terzo del loro petrolio e gas proprio da Mosca. All’incirca il 60 per cento delle esportazioni russe sono dirette verso l’Ue, mentre soltanto il 7 per cento delle esportazioni dell’Ue verso i paesi terzi è destinato alla Russia. La destabilizzazione economica radicalizzerebbe lo spirito di quel paese, riportando tutto il pianeta indietro ai tempi della Guerra fredda. La guerra civile ucraina che fu evitata nel 1991 tornerebbe così a essere uno scenario plausibile.

L’esempio di Brandt e la Germania orientale - Come si può alzare il costo di una ulteriore annessione da parte della Russia e aumentare le possibilità di trovare una soluzione pacifica, senza infliggere danni alla Russia, all’Ucraina o all’Europa? La risposta si trova nell’offerta di un accordo di libero scambio con la Russia e l’Ucraina nell’ambito di un nuovo accordo internazionale sul futuro di Kiev. Nel 2010, il presidente russo Vladimir Putin propose di costituire un’area di libero scambio che si estendesse da Vladivostok a Lisbona. Come andò a finire? L’Ue da quel momento ha lavorato invece a un accordo di libero scambio con Georgia, Moldavia, Ucraina e Armenia. Tutto ciò ha soltanto alimentato il nervosismo di Mosca, perché ha implicitamente creato la minaccia di barriere tariffarie con la Russia. Il libero scambio con un paese ricco di materie prime, come la Russia, che fa da pendant alla specializzazione occidentale nel settore manifatturiero, fa presagire vantaggi commerciali significativi e maggiori di quelli che discenderebbero dal commercio fra due economie simili. I politici dell’Ue in questa fase stanno negoziando un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti che porterebbe vantaggi ai paesi coinvolti, ma l’inclusione della Russia in un’area simile potrebbe rivelarsi una miniera d’oro per tutti i soggetti che ne faranno parte. Il libero scambio non è infatti un gioco a somma zero; tutti hanno da guadagnarci. Esso consente di far progredire specializzazione e divisione del lavoro, vere fonti di prosperità. Anche paesi con scarse affinità politiche possono impegnarsi nel libero scambio; favorendo l’interdipendenza tra stati, si promuove inoltre la pace.

La Germania, al momento, non ha una politica definita nei confronti della Russia, anche se la cancelliera Angela Merkel conosce molto bene quel paese. Nell’interesse della pace da preservare in Europa, è il momento per Berlino di perseguire una strategia che convinca le istituzioni dell’Ue a forgiare nuove relazioni di buon vicinato con la Russia, con l’Ucraina e con gli altri paesi situati tra Europa e Russia. Nel caso di una stabilizzazione politica, offrire a Mosca un accordo di libero scambio con l’occidente tutelerebbe la pace, porterebbe vantaggi economici all’Europa e sarebbe in continuità con quella strategia del “cambiamento attraverso l’avvicinamento” che il cancelliere Willy Brandt utilizzò per primo, e con successo, con la Germania orientale.

di Hans-Werner Sinn

Presidente dell’Ifo Institute for Economic Research di Monaco, in Germania.

Dal Wall Street Journal del 30 aprile, per gentile concessione di Mf/Milano Finanza. Traduzione di Marco Valerio Lo Prete, FQ , 2 maggio 2014 - ore 10:01

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