Quante falsità sul falso in bilancio

Tante le ragioni per non ampliare

la discrezionalità del diritto penale

di Redazione | 05 Luglio 2014 ore 06:27

Nel progetto Renzi di riforma della giustizia, accanto a obiettivi lodevoli, c’è anche la reintroduzione del reato del falso in bilancio, un vecchio tic della sinistra giustizialista, basato, curiosamente, proprio su un falso. Infatti non è vero che il falso in bilancio oggi non sia punito come reato. Lo è, con una pena sino a 2 anni anziché a 5 come in passato, e solo se le comunicazioni sociali considerate non veritiere determinano una variazione maggiore del 5 per cento nel profitto e dell’1 per cento nel patrimonio e se, per le singole poste giudicate false, la variazione è almeno del 10 per cento. Non è neppure vero che le modifiche sono iniziate con leggi dei governi Berlusconi, dato che iniziarono con il governo Amato, quando in Italia si introdussero le più esigenti e complesse norme europee di contabilità prudenziale, che fanno divergere sempre più il bilancio commerciale da quello fiscale, creano complessi problemi di verità del bilancio – diverse a seconda dell’ottica da cui ci si pone – nella stima di voci come gli ammortamenti, i beni immateriali, le perdite su crediti, le minusvalenze e le plusvalenze derivanti da oscillazioni nei cambi, eccetera. Se lo scopo è combattere truffe, corruzione, riciclaggio, evasione o frode fiscale, è di questi crimini che ci si deve occupare, non del falso che potrebbero generare nel bilancio, che è un accessorio opinabile. L’inasprimento dei presupposti e delle pene per il falso in bilancio è dunque un falso obiettivo, dietro cui si cela il desiderio di accrescere l’area del diritto penale, nei reati ove l’inquirente ha il maggior potere discrezionale e la maggior possibilità di interferire con il mercato, considerato, pregiudizialmente, come una cosa sporca   FQ

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