SINISTRA. PICCOLO - IL VINCITORE DELLO STREGA A

VALANGA SUGLI EREDI DEL PCI:

“UN GRUPPO DI REAZIONARI (COMPRESO BERSANI) CHE HA ABBANDONATO A FATICA I PROPRI PREGIUDIZI - RENZI? UN RIFORMISTA MA I FATTI SONO TUTTI DA VERIFICARE”

‘’Fino a Bersani il messaggio agli italiani è stato: noi siamo diversi e migliori. Non ci meritate, ma dovete votarci lo stesso. Ovvio che gli italiani non lo facessero, con grande soddisfazione della sinistra che così non doveva governare e poteva limitarsi a lamentarsi di Berlusconi”…

Alberto Mattioli per “La Stampa”, 7 LUG 2014 15:32

«Intanto una precisazione: non sono un autore di Che tempo che fa».

Non è un disonore essere fazisti...

«No, tanto più che con Fazio ho fatto Vieni via con me e Sanremo. Ma questa storia che lavoro a Che tempo che fa mi sta provocando un danno incalcolabile...».

Addirittura!

«Sì, perché sono sommerso di telefonate di autori ed editori che vogliono promuovere i loro libri da Fazio».

D’accordo, allora: Francesco Piccolo non scrive Che tempo che fa. In compenso ha scritto Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) che giovedì ha vinto lo Strega. E questa non dovrebbe essere la solita intervista del day after, ma una risposta d’autore al dibattito su Tuttolibri.

Riassumendo: a Massimiliano Panarari il libro autobiografico di Piccolo è piaciuto, perché finalmente la sinistra italiana ha trovato il suo romanzo di formazione che fa piazza pulita dei vecchi tabù. A Giovanni Orsina no, perché chiude i conti con il «razzismo etico» della gauche nostrana con deplorevole ritardo e soprattutto senza chiedere scusa.

Piccolo, cominciamo da qui.

«Orsina esprime una tipica caratteristica italiana: il “mai abbastanza”. Non basta dire qualcosa, si doveva sempre dirlo prima e di più. Che è poi, guarda caso, quel che in politica blocca ogni riforma».

Sarà, ma Piccolo che nel 2014 scopre che l’antiberlusconismo non basta a fare la sinistra è come Berlinguer che nel 1982 si accorge che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre è esaurita. «Aspettavamo solo voi!», diceva Totò ai ritardatari a teatro...

«Ma questo è un romanzo. E il romanzo racconta appunto il tentativo del protagonista di liberarsi dei suoi pregiudizi. Ci vogliono tempo e fatica. Oggi è facile dire che Berlinguer ci mise tanto. Più difficile ricordare che il Pci era il partito comunista occidentale più avanti e l’unico ad avere una strategia politica vera e realistica. Anzi, se c’è un errore che i postcomunisti hanno fatto è stato proprio quello di aver buttato a mare il Pci e la sua storia, che è stata una storia virtuosa».

Altra accusa: il protagonista, cioè lei, cioè la sinistra italiana, non ha mai fatto autocritica per, cito Orsina, «aver avvelenato vent’anni di storia italiana» con il suo razzismo etico.

«Non è stato facile liberarsi di un’idea di superiorità antropologica che la sinistra ha coltivato a lungo. Tardi? Forse sì. Ma meglio tardi che mai. Poi un conto è lo sguardo oggettivo, un altro quello soggettivo, insomma quello del romanziere».

Visto che il libro l’ha scritto prima dell’avvento di superMatteo, lei è un renziano prima di Renzi...

«Lo dicono in molti. A me sembra una semplificazione. Però Renzi ha introdotto a sinistra due idee semplici ma decisive. Prima: smettiamo di essere felici di perdere. Seconda: comunichiamo con tutti e non solo fra noi».

Sì, ma comunichiamo cosa? Un tweet di Renzi o i perbenismi di Fazio?

«E’ la questione che pone il libro, anche se non in questi termini di formule giornalistiche. La mia idea è che la sinistra del dopo Berlinguer sia stata un gruppo fortemente reazionario che ha sempre reagito al Paese invece di anticiparlo. Fino a Bersani...»

Scusi: compreso?

«Sì compreso Bersani. Fino a lui il messaggio agli italiani è stato: noi siamo diversi e migliori. Non ci meritate, ma dovete votarci lo stesso. Ovvio che gli italiani non lo facessero, con grande soddisfazione della sinistra che così non doveva governare e poteva limitarsi a lamentarsi di Berlusconi».

Con Renzi cos’è cambiato?

«Con Renzi, almeno nelle intenzioni, e mi raccomando, lo scriva, i fatti sono tutti da verificare, dicevo: nelle intenzioni di Renzi, c’è l’idea che la sinistra sia tale per fare delle riforme. Insomma, dobbiamo essere riformisti e progressisti invece che reazionari e antimoderni».

Lei propone anche di farla finita con l’antiberlusconismo come, stavolta cito Panarari, «genere crossmediale».

«L’antiberlusconismo della sinistra ha fatto due danni enormi, e non a Berlusconi ma alla sinistra. Il primo è che ha abbattuto le differenze. L’importante non era essere di sinistra, ma essere antiberlusconiani. Fino a mettere insieme tutto e il suo contrario. Ricordo quelle elezioni dove sui manifesti dell’ex Pci c’era la faccia di Montanelli».

E il secondo?

«Si è spesa la propria vita in funzione del nemico. Ma in politica bisogna costruire, non solo distruggere. L’antiberlusconismo ha esentato la sinistra dall’avere qualsiasi idea che non fosse quella di abbattere Berlusconi».

Il quale oggi è davvero abbattuto?

«Io ho sempre pensato che Berlusconi sarebbe stato sconfitto soltanto con le elezioni. Mi sembra che alle ultime abbai preso una bella botta».

Parla comunque del suo editore...

«Sono sereno. Se pubblica i libri in maniera aperta lasciandomi scrivere quello che voglio, nessun problema».

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