Un mezzo agosto da festeggiare obliosi, più o meno

come sempre

di Giuliano Ferrara | 17 Agosto 2014 ore 12:12

Sarà un falso senso di sicurezza, un sentimento leggero e ferragostano, dunque banale e privo di spessore, ma l’impressione è che le cose vanno così male, e per tutti in Europa, che è impossibile non cavarsi dagli impicci. Venti di guerra e di inimicizia fatale lambiscono la frontiera europea orientale, mentre infieriscono nel Medio Oriente e in generale nel mondo islamico abbandonato a sé stesso da un occidente impotente (oggi si dice riluttante). Le economie a noi storicamente contigue, con tutte le differenze nelle cifre sulla disoccupazione e sul debito, rischiano la sorte comune della deflazione, del ristagno. Chi lavora molto e in modo molto produttivo, chi investe in ricerca, ha un sistema di regole e di giustizia accettabile, chi ha fatto dello sviluppo tecnologico-industriale il suo core business, chi domina l’export e i consumi e prende per sé la parte maggiore nei mercati mondiali, insomma la Germania e alleati virtuosi, non può dire di avercela fatta e di potercela fare senza una integrazione collettiva, europea e americana, che sia in grado di riaprire la porta a una forse meno appariscente ma assolutamente necessaria nuova capacità di produrre ricchezza sociale.

 Dunque l’Italia ferragostana, rappresentata dall’incontro del ragazzo e del grande vecchio a Castel Porziano, sotto l’occhio vispo e arzillo dello statista impedito dalla persecuzione giudiziaria ma più in ballo che mai, non ha ragioni per rassegnarsi al declino inteso come caduta senza resurrezione, senza riscatto. Non è faccenda proverbiale di mal comune e di mezzo gaudio, è che i meccanismi abnormi del governo europeo della moneta, comprese le forzature dei trattati denunciate da Giuseppe Guarino e da Antonio Pilati, non saranno rovesciati e negati, ma corretti sì, lo vuole la ferrea logica delle cose, anche se si parli la lingua del Reich. La stagione imbrogliona, moralista e del ciascuno per sé, con tutto quello che ha comportato di equivoco e di lento, sembra volgere al termine. Siamo nelle mani di un giovanissimo uomo di stato in formazione che intanto ha messo in scacco l’establishment conservatore della sinistra polverosa, del sindacalismo classista ottocentesco e del padronato egoista e dalla vista corta; lo sorregge e lo aiuta, consenso a parte, un vecchio comunista riformista di esperienza varia e forte, che si è specializzato da decenni nel controllo e nel governo dei sistemi politici di equilibrio, al quale la storia renderà tutte le sue ragioni offuscate da una campagna di calunnie manettare e di astiosità della anziana compagnia di canto degli esperti, degli intellettuali, dei costituzionalisti che discutono rigorosamente del nulla da un’epoca intera. Siamo in mani che rassicurano, quindi, e l’unico aspetto della vicenda che ci fa sentire un po’ prigionieri è l’assoluta mancanza di alternative credibili. Prodi e Letta (Enrico), qualità personali a parte, quando ci siano, sono due brontoloni vendicativi dai quali oggi le persone comuni non comprerebbero un’auto usata per nessun motivo. Marchionne è un americano canadese svizzero abruzzese che offre un metodo e suggestioni.

Altri capitalisti italiani capaci, a parte quelli che la sfangano con l’industriosità e ci provano, nell’establishment consolidato non se ne vede nemmeno alla distanza. Sindacalisti come Camusso e Landini sono variabili da talk show, dipendono dal vecchiume e dalla trascuratezza del sistema dei media, ma non hanno molto da dire né da scioperare. Grandi burocrazie e poteri neutri sono sotto tiro e divisi, alla fine di sicuro una via d’uscita la trovano, ma dovranno piegarsi a un nuovo ritmo politico, a nuovi criteri, questo sembra ormai assodato.

Via, con tutto il guasto e il malinconico di una crisi prolungata, che c’è e non c’è ma quando c’è è devastante e impigrisce e stordisce membra e cervello, è un mezz’agosto quasi da festeggiare. E in molti, comunque, lo hanno festeggiato nel solito dolce, affollato e oblioso modo.

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