I dèmoni della montagna. L’inventario estivo

delle morti in quota e alcune leggi non scritte

di Redazione | 17 Agosto 2014

Morire si muore facile, in montagna. Ce lo diciamo a ogni estate, facendo l’inventario di alpinisti improvvisati, dilettanti, ma non soltanto loro: anche le guide più esperte, ultima quella caduta sul Monte Bianco tre giorni fa assieme a cinque escursionisti, talvolta s’immolano per sfamare i dèmoni della montagna. Sacrifici umani, più nobili ma non troppo differenti dalle continue morti acerbe in autostrada o nei crocevia dei nostri sabba metropolitani. La montagna ha le sue leggi non scritte e non sono leggi democratiche: esige silenzio e passo fermo, seleziona i suoi inquilini all’ingresso e spesso punisce i temerari, quelli con l’attrezzatura più sofisticata, gli indumenti che traspirano e i bastoncini telescopici che accompagnano l’ego tirannico di ogni sportivo. Basta una nevicata, oppure una smagliatura sul sentiero e oplà, si vola giù e si resta lì per sempre, macellati dalla roccia, anneriti dal gelo.

Ecco, il punto è che nella sua essenza l’ascesa in vetta non è uno sport né un hobby, ogni salita è al tempo stesso uno scendere ai ferri corti con la realtà e con se stessi. Non occorrono la profondità naturale di un Reinhold Messner o la visione esoterica del più antico Domenico Rudatis per comprendere che al di sopra d’una certa quota si entra a contatto più diretto con potenze elementari che scuotono come il vento, forze abissali senza forma come le nostre paure, dèmoni che malsopportano l’animo prometeico delle creature d’un giorno, dei rumorosi bipedi umani; oppure dèmoni che s’incapricciano del sangue blu di chi rispetta la montagna e sta semplicemente andando incontro al proprio destino (in questo caso è una fortuna perfino, morire così, al di sopra delle paludi terrene). Dalle forre misteriose degli Appennini al candore del Bianco e alla purezza rosata della dolomia trentina, e così fino agli altipiani del Tibet: la natura delle cose ama nascondersi, come insegna Eraclito, e quando si disvela non lo fa necessariamente offrendo mazzolin di fiori al primo turista che capita. Dietro ogni alpeggio incantevole c’è una menade dormiente ma pronta al balzo, una tempesta di là dal bene e dal male. E’ importante saperlo, e a volte può non bastare.

© FOGLIO QUOTIDIANO

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