COSÌ SI FINANZIA IL TERRORE JIHADISTA –

IL RISCATTO MEDIO RICHIESTO È PASSATO DA

200MILA DOLLARI A 10 MILIONI PER OSTAGGIO – INFORMALMENTE PAGANO TUTTI, MENO AMERICANI E BRITANNICI - - - -

Ormai quella dei sequestri di occidentali è un’industria che serve a pagare armi e nuovi affiliati. A versare i riscatti sono quasi esclusivamente governi europei attraverso reti di informatori, diplomatici e faccendieri, gestite dai servizi segreti di Paesi che poi negano…

Pietro Del Re per “La Repubblica”, 22 AGO 2014 17:05

Nel Nord dell’Iraq i rapimenti hanno solo uno scopo sessuale. Accade da qualche settimana con le donne yazide, che una volta strappate ai loro cari sono immediatamente stuprate dal branco jihadista, e poi rivendute o regalate ad altre soldataglie del califfato, magari come premio per una battaglia vinta.

Altrove, però, i sequestri dello Stato islamico o di Al Qaeda servono soprattutto a rimpinguare le casse dell’organizzazione: i soldi del riscatto vengono poi spesi per acquistare altre armi, arruolare nuove forze e corrompere burocrati o politici locali. È notizia di ieri che l’Is aveva chiesto tramite una mail ai genitori di James Foley un riscatto da 100 milioni di euro: l’amministrazione americana si è rifiutata di pagare, con il drammatico esito che tutti conosciamo.

Se anche le due giovani italiane, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria il 31 luglio, sono finite nelle mani delle bande del califfato, è verosimile che per la loro liberazione siano già stati chiesti parecchi soldi.

Il New York Times ha calcolato che dal 2008 a oggi l’industria del sequestro ha già procurato ad Al Qaeda e alle sue ramificazioni in Somalia, Yemen, Mali o in Algeria circa 125 milioni di dollari (dei quali 66 milioni solo lo scorso anno). Rapire uomini d’affari costretti a recarsi in luoghi pericolosi, turisti troppo avventurosi, operatori umanitari o giornalisti di guerra è diventato un affare davvero lucroso senza il quale la macchina del terrore non sarebbe così oleata e criminalmente operosa. Ovviamente, ogni rapimento “riuscito”, ossia da cui si ricava denaro, ne genera altri.

A pagare sono quasi esclusivamente i governi europei, tramite reti di informatori, diplomatici e faccendieri gestite quasi sempre dai servizi segreti dei vari Paesi, i quali non lavorano mai in sinergia tra di loro, anche quando i sequestrati sono di diverse nazionalità, sia perché ognuno ha i propri metodi sia affinché l’operazione destinata al rilascio rimanga il più segreta possibile. Già, perché anche se pagano, i governi negano sempre di averlo fatto.

Un ex agente francese, in Iraq per conto di una società che fornisce protezione ai suoi connazionali a Erbil e Bagdad, spiega: «Per noi europei la cosa più importante è riportare a casa il prigioniero, quindi i governi sono sempre disposti a sborsare quanto serve. I servizi francesi dispongono di un fondo apposito, ovviamente creato e alimentato dallo Stato. Ciò consente al governo di turno di giurare che non è stato lui a pagare. È solo un gioco delle parti, che però ha un effetto negativo poiché spesso l’ipocrisia dei politici dà forza ai terroristi».

Con questo atteggiamento l’Europa è diventata, sia pure contro voglia, uno dei primi finanziatori del terrorismo, e chissà quanti fucili di precisione, quanti chili di tritolo e quanti proiettili di mortaio sono stati comprati con gli euro versati per riscattare i nostri concittadini. Eppure negli ultimi anni le cancellerie dei Paesi impigliati nella trappola dei rapimenti, ossia Austria, Francia, Germania, Svizzera e Italia, hanno tutte smentito di aver pagato per la liberazione di ostaggi. Tramite un portavoce del loro ministero degli Esteri, le autorità di Parigi hanno perfino avuto l’audacia di sostenere «che loro non hanno mai corrisposto nulla ai terroristi per un ostaggio».

Dice ancora l’ex agente francese: «Con il passare degli anni, le cifre dei riscatti fissati dalle organizzazioni islamiste sono schizzate verso l’alto: se nel 2003 i rapitori richiedevano 200mila dollari per ostaggio, adesso ne vogliono almeno 10 milioni». Questi aumenti non sono soltanto il frutto dell’avidità dei caporioni di Al Qaeda o dello Stato islamico, ma si spiegano col fatto che oggi, proprio perché può fruttare tanto, un sequestro di persone coinvolge molti più attori, strutture, mezzi di trasporto, spostamenti e luoghi di prigionia di una volta. «Un ostaggio è un bottino facile, e che procura un mucchio di soldi e preziosi tesori», ha scritto recentemente Nasser al-Wuhayshi, leader di Al Qaeda nella penisola arabica.

Solo pochissimi Paesi si rifiutano di cedere al ricatto dei sequestratori. Tra questi, i capofila sono Gran Bretagna e Stati Uniti, i quali pur avendo intrecciato legami e intavolato negoziati con i gruppi più estremisti non hanno mai versato un solo centesimo. Con conseguenze spesso tragiche. Infatti, se dozzine di ostaggi europei hanno ritrovato la libertà, ciò è accaduto solo a pochissimi americani e inglesi. Alcuni sono riusciti a fuggire, altri sono stati liberati dai corpi speciali, ma altri ancora sono stati uccisi dai loro carcerieri.

La sola notizia positiva in tutto ciò e che dal 2008 solo il 15 per cento degli ostaggi è stato giustiziato dagli islamisti. Molti dei quali durante l’operazione dei corpi speciali destinata a salvarli.

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