Lettere al Direttore Il Foglio 23.9.2014

Scuse a Lilli, soldi da un Debenedetti, un appello a Susanna

1-Al direttore - Da “19e40” a “Otto e mezzo”. Fanno giusto 50 minuti di #cheppalle.

Maurizio Crippa

Approfitto per chiedere scusa a Lilli per aver ospitato, con un commento per la verità beneaugurante e solo longanesianamente  malizioso, i pettegolezzi (comprensibili) che avevano circondato la sua rinuncia di lunedì scorso. In bocca al lupo. Che torni presto. Un abbraccio.

2-Al direttore - Sono un imprenditore del nord-est, lavoro da 42 anni, da 27 faccio l’imprenditore. Nel 1990 sono stato “fulminato” sulla via del federalismo; non sono più guarito. 15 anni alla politica; due volte sindaco e cinque anni in Parlamento, a perder tempo…

La Cgil dimostra per l’ennesima volta un conservatorismo fuori luogo e tempo; figlio della peggiore cultura komunista, capace di riconoscere gli errori con 20/30 anni di ritardo. Dalle mie parti, in campagna, si dice: bravi a chiudere la stalla a buoi lontani…

Da quando faccio impresa (oggi 150 collaboratori più 30 indiretti) non ho mai licenziato nessuno. Anzi, nei mitici anni 90 (quelli del miracolo a nord-est), sono stato licenziato almeno una ventina di volte dai miei collaboratori: “Cambio lavoro, ho trovato di meglio, do gli 8 giorni”. Erano gli anni in cui, tra imprenditori ci rubavamo la mano d’opera, i nostri tecnici più bravi si mettevano all’asta e, aspettavano i rilanci. Abbiamo importato lavoratori da mezzo mondo, abbiamo massacrato le campagne costruendo capannoni, abbiamo lavorato per tre, rivendicando il federalismo per prepararci a un futuro meglio gestibile e competitivo. Ci hanno accusati di egoismo di poca solidarietà… va be’!

Poi è arrivata la globalizzazione, impetuosa, senza regole. I “santoni di certa sinistra, invidiosi, mai messo piede in fabbrica”, godevano come pazzi nel vederci soffrire, chiudere le aziende. Molti han scelto di chiudere con la vita, per vergogna, prima di chiudere la fabbrichetta… Oggi, altri “nordestini” in giro per il mondo (Cina, India, Turchia, Polonia) hanno acquistato la tecnologia e si sono messi a fare manifattura a costi che sono 1/4 dei nostri. E’ un processo irreversibile, un’onda enorme inarrestabile, una esigenza legittima, una voglia di benessere sacrosanta.

Signora Camusso, lo Statuto dei lavoratori è datato 1970, roba di un altro mondo! Di altra epoca! Signora Camusso, sono passati 45 anni, oggi c’è internet, ci sono pure i voli low cost, abbiamo l’euro e non c’è più l’Unione sovietica.  Signora Camusso, lei è in grave e immotivato ritardo. Non mi interessa se cambierà idea (forse tra 20 anni) e farà la revisionista di se stessa, come da tradizione dalle sue parti. Io, come tutti i colleghi piccoli imprenditori, ai nostri validissimi collaboratori ci teniamo molto (molto più di Lei, mi creda) perché sono indispensabili, difficilmente sostituibili; sudiamo assieme, triboliamo assieme, gioiamo assieme, piangiamo assieme quando qualcuno se ne va anzitempo.  Sono ricchezza vera, risorse insostituibili, finché riusciamo assieme a “portare a casa” il lavoro, rimanendo competitivi contro concorrenti avvantaggiati dal costo del lavoro che è 1/4 o 1/5 del nostro. La flessibilità intelligente con salvaguardie e garanzie non distrugge posti di lavoro, ne crea di nuovi. La rigidità impaurisce gli investitori. Come sempre il capitale va dove gli conviene, cara signora Camusso, non l’ha ancora capito?! Ha ragione Renzi (che Dio lo protegga) basta con le vecchie ideologie, basta, non ne possiamo più. Che la sinistra, finalmente socialdemocratica e riformista, anche in Italia,  faccia rottamazione seria delle ideologie vetero komuniste.

Bepi Covre

3-Al direttore - Da anni non più imprenditore operativo, ma sempre imprenditore “con altri mezzi”, contribuisco alla vostra iniziativa: in contanti con una matching contribution pari al 10 per cento della somma che raccoglierete nel weekend (con un massimale di 1.000 euro). In natura, con un link al ddl che presentai in Senato nel 1997. Scontata l’accoglienza dei colleghi di partito, ricorderò sempre quella delle Unioni industriali dove andai a presentarlo. Per cui, auguri!

Franco Debenedetti

4-Al direttore - “Lacan parlava a vanvera”, suppone Vitiello. Non lui, dico io, ma il suo inconscio era van-vero.

Ugo Amati

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