ORSI & TORI. Domanda a un bravo bancario corporate

con buona predisposizione ad aiutare i clienti: «Come

spiega che oggi l'euribor a tre mesi, il tasso più usato nei prestiti, sia pari allo 0,086% e in via ordinaria voi chiedete alle aziende il 5, il 6, il 7 e anche l'8%? Non vi pare di esagerare?». Risposta onesta: «Il fatto è che oggi il cavallo non beve, come diceva Guido Carli, ci sono aziende che hanno linee di credito importanti che non usano perché non investono; i miei collaboratori passano buona parte del loro tempo di lavoro a sollecitare il tiraggio del credito...». Per forza, applicate tassi come quelli indicati e non di rado ancora di più, al limite dell'usura.... «I due fatti, non l'usura, sono interdipendenti. Se la banche non riescono a sfruttare il denaro di cui dispongono sono come una fabbrica

che fa girare solo la metà dei suoi impianti. O aumenta i prezzi dei suoi prodotti o chiude: la nostra banca ha il 70% dei suoi ricavi dall'intermediazione di denaro...».

Vuol dire che i tassi sono alti perché potete applicarli solo su una parte di quanto potreste prestare? «Una delle cause principali è questa, anche se non la sola; un'altra è che a chiedere denaro sono spesso le aziende più a rischio, quindi il loro merito di credito impone l'applicazione di spread molto alti. A maggio-giugno abbiamo avuto l'illusione che la macchina si stesse rimettendo in moto, cioè che le aziende avessero riconquistato fiducia e quindi potessero bere di più. Oggi siamo non a un livello piatto, ma addirittura sotto la linea di galleggiamento, raccogliamo soltanto sentimenti di sfiducia».

A maggio c'erano state le elezioni europee e la forte affermazione di Matteo Renzi aveva provocato un recupero di fiducia e di coraggio. È così? «È così. Quel focherello si è spento molto presto e le notizie, inevitabili, sul fatto che il Paese fosse in deflazione hanno fatto il resto».

Ma allora dal vostro punto di vista come si esce da questa spirale perversa? Non sarebbe il caso che le banche facessero un atto di coraggio e offrissero il denaro a tassi bassi, visto che la Bce è disposta a inondare le banche di denaro a bassissimo costo? «Per ora l'effetto denaro a basso costo riguarda soltanto i mutui fondiari diretti ai privati. Ci sono offerte pari anche a qualcosa in meno del 2%...».

Ah già, vi sbilanciate solo quando vi è una garanzia consistente, visto che a fronte del mutuo segnate ipoteca sull'immobile, per altro stimato ai valori attuali, quindi i più bassi della storia e pertanto destinati solo a potersi rivalutare. Con una garanzia così forte vi sbilanciate. Bravi, bravissimi... Ma di tutti i soldi che Mario Draghi ha messo a disposizione e di quelli che sta per mettere, che ne sarà? «Intanto, come si è visto, in totale con Ltro sono stati tirati da tutte le banche europee solo un'ottantina di miliardi e l'Italia per così dire si è posta in prima posizione con 23. Certamente ne potevano essere tirati anche di più, ma le banche hanno appena subito la asset quality review e sono in attesa degli stress test...».

Vuole dire che le banche hanno paura di uscire penalizzate da questi pesanti controlli e che quindi non si vogliono spingere troppo in avanti. La sfiducia insomma è in primo luogo delle banche...«La sfiducia è il male da cui siamo tutti colpiti, il vero cancro del sistema. Basta guardare che pur in presenza di un numero crescente di disoccupati, di minori introiti da parte della stragrande maggioranza delle famiglie, il risparmio è tornato a crescere molto. La gente non si fida, ha paura, e cerca di accrescere le proprie riserve.

Se non si rompe la spirale saremo del gatto chi sa per quanti anni».

Appunto, chi sa per quanti anni... Basta pensare a quanti anni di deflazione ha subito il Giappone. Ma lei che è allo stesso tempo in prima linea, cioè a contatto con le aziende, e in contatto con i grandi capi, i banchieri, che ricetta suggerirebbe? «Se non vogliamo precipitare sempre più in basso, una volta conclusi gli stress test, che per le banche italiane saranno positivi, occorrerà che i banchieri tornino a fare i banchieri. Ed è vero che anche oggi offriamo denaro e che il cavallo non beve, ma qualcuno deve pur cominciare un nuovo ciclo. Banche e imprese devono venirsi incontro: le banche offrendo denaro a tassi più bassi, decisamente più bassi di quelli attuali, e le imprese ripartendo per un nuovo ciclo di investimenti. Purtroppo non poche aziende, soprattutto piccole e medie, cioè la grande maggioranza dei nostri clienti, sono vicine allo stremo. Non c'è molto tempo da perdere».

Il ragionamento semplice ma concreto del bravo bancario corporate di una delle maggiori banche italiane evidenzia che quanto Draghi ha fatto finora non ha avuto minimamente l'efficacia dell'azione di iniezione di liquidità, una vera inondazione, che ha caratterizzato la politica monetaria della Federal Reserve americana. In occasione dell'istituzione della cattedra per lo studio degli effetti della politica monetaria alla Bocconi, finanziata dalla Bce e intitolata al convinto europeista Tommaso Padoa-Schioppa, il presidente Draghi spiegò che fino a quel momento gli impulsi provenienti da Francoforte, cioè dalle scelte sue e del consiglio di amministrazione della Bce, non avevano avuto i risultati sperati. Draghi attribuì questo fallimento al fatto che mentre la Bce iniettava denaro i governi non avevano fatto il loro dovere, cioè, per usare quello che è ormai uno slogan, non avevano realizzato tutte le riforme strutturali necessarie. Naturalmente Draghi, guardato a vista dai mastini tedeschi, vati del rigore assoluto e delle riforme, non disse che la quantità di denaro che aveva potuto iniettare era insufficiente. In altre parole era come se nella cura di un tumore con farmaci chemioterapici il medico non avesse potuto usare le dosi piene ma solo una parte di esse. Il risultato in questi casi (e purtroppo esempi come questi non mancano) è sempre stato scontato: l'ammalato nel migliore dei casi ha potuto sopravvivere un po' di tempo in più ma non certo guarire.

Ecco, il grave errore che è stato compiuto e che continua a essere perpetrato nell'Unione europea è quello di non voler affrontare con la determinazione e le quantità necessarie una efficace cura chemioterapica.

Basti ricordare cosa è accaduto con la Grecia: il Paese patria della civiltà e della democrazia avrebbe potuto essere salvato con il 20% dei fondi che poi sono stati necessari, e con un 20% delle sofferenze che i cittadini hanno subito, se solo la Germania avesse consentito un intervento tempestivo. Invece la dittatrice (in economia) Angela Merkel si mosse solo dopo una telefonata notturna, piena di ultimatum, fattale dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

In altre parole, è il gravissimo ritardo nell'adozione delle cure necessarie e poi l'averle erogate con il contagocce che ha portato l'Europa e in particolare l'Italia alla recessione e alla deflazione, che come ha documentato l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, fa assai più morti che l'inflazione.

In questo contesto occorre davvero che si crei, anche se artificialmente, una nuova fiducia fra imprese e banche. In che modo? Prima di tutto con la decisione delle banche di ritirare dalla Bce tutto quanto la Bce offre, che oggi non è poco nonostante stia arrivando in ritardo. In secondo luogo, occorre che le banche accettino per un certo periodo di pareggiare i conti e non di voler fare utili a tutti i costi, concedendo prestiti con un margine di guadagno fra il loro costo del denaro (praticamente a zero per la parte proveniente dalla Bce) e stimolino le aziende a prenderlo per fare investimenti. In terzo luogo, appunto, che le aziende tornino a investire, considerando che se un'azienda non investe, prima o poi muore.

Certo, perché la fiducia reciproca torni ci vuole qualche fatto shock. Non ripetendoci sul taglio del debito pubblico, che è fatto ormai condiviso da tutti, il famigerato articolo 18 può essere uno degli shock necessari. Servizio pubblico, il programma de La7, si è divertito nei giorni scorsi a mandare in onda un'intervista di due anni fa a Renzi, nella quale l'allora sindaco di Firenze diceva che non aveva mai visto un imprenditore che non assumesse perché c'era l'articolo 18. È facile fare ironia o critica politica usando dichiarazioni di due anni fa. Quelli di Servizio pubblico si dimenticano che due anni fa le prospettive non erano quelle di una profonda deflazione e non tengono conto che oggi le responsabilità sono ben diverse, sono quelle del capo del governo che deve riuscire a smuovere i macigni esistenti sulla strada della ripresa e non può non tener conto che sono anni che le imprese chiedono di avere una legislazione del lavoro omologa a quella dei Paesi occidentali che vanno meglio, non quella degli Stati Uniti, dove la flessibilità del lavoro è totale, ma almeno quella della Germania, dove un socialista, Gerhard Schröder, ha riformato il diritto del lavoro dando comunque più importanza alla qualità dell'impegno e all'apertura verso i nuovi occupati che non a garantire chi ha già il lavoro.

Se almeno questo shock, anche se poi non così forte (visto la crescente garanzia offerta dal progetto Renzi man mano che cresce l'anzianità), forse potrebbe scoccare una scintilla per ritornare a guardare con un po' di fiducia al futuro. E tutti gli studi dei migliori economisti indicano che il sentimento, l'aspetto psicologico di chi intraprende e chi consuma pesa almeno per il 40% sull'andamento dell'economia.

Per capirlo basterebbe osservare con quale determinazione, con quale voglia di crescere, con quale voglia di consumare lavorano i cinesi.

Oltre 500 aziende italiane e un foltissimo gruppo di giornalisti se ne sono potuti rendere conto assistendo alla presentazione, mercoledì 24, di CCIG/Mall, la piattaforma di e-commerce BtoB creata da Madam (sì, senza la e) Guo Hong, chairperson di Century International Group. La piattaforma, di cui Class Editori, che edita questo giornale, e la sua controlla CCeC (Class China e-commerce) sono il riferimento in Italia, è stata creata per importare in Cina e offrire a una rete di 3 mila negozi i prodotti del Made in Italy, un marchio che come hanno testimoniato l'ambasciatore cinese a Roma, Li Ruiyu, e il direttore generale nel Belpaese del China Council for promotion international trade, Zhang Gang, è indicazione di creatività, qualità e garanzia assoluta. Per questo la piattaforma, che a regime avrà un giro d'affari di oltre 100 miliardi di dollari di cui circa il 15% di prodotti italiani, sta accogliendo per primi i prodotti di centinaia di aziende italiane del food&beverage, della moda, degli accessori, del design selezionate in Italia da CCeC. «Forse voi non avete l'esatta percezione di che cosa è il valore dei vostri prodotti per noi cinesi», si è sbilanciato il direttore generale del CCPIT. «La ricchezza italiana di piccole e medie aziende è straordinaria e vostri prodotti sono straordinari. Dovete impegnarvi di più in quello che è già il primo mercato del mondo e la piattaforma CCIG/Mall è a vostra disposizione. Chi la dura la vince, non dice così un proverbio italiano?».

CCIG/Mall è supportata oltre che da CCPIT da alcuni dei più grandi gruppi cinesi controllati dallo Stato: da China Telecom, a China Union Pay, al più influente istituto di credito cinese, Bank of China. Infatti, oltre che a contenere Alibaba, con un differente business model che rifiuta le copie dei prodotti italiani, abbondantissimi invece e vero successo della piattaforma di Jak Ma, CCIG/Mall è strumentale alla crescita dei consumi in Cina, senza la salita dei quali lo sviluppo del pil al 7-8% all'anno non potrà continuare, e al riequilibrio dell'interscambio con i vari Paesi

partner della Cina. L'interscambio con l'Italia è pari oggi a 33 miliardi, di cui ben 23 di export. Ma quando la piattaforma sarà a regime, grazie alla straordinaria rete di 3 milioni di negozi, le esportazioni italiane potranno salire di 10-15 miliardi di dollari, e finalmente con la risalita del dollaro e dello yuan le esportazioni saranno agevolate. Per far sì che lo siano ancora di più ci sarà l'aiuto di Bank of China, che grazie alla visione del presidente, Tian Guoli, copresidente del Business Forum Italia-Cina inaugurato a Pechino l'11 giugno alla presenza dei due primi ministri, Renzi e Li Keqiang, intende in collaborazione anche con Class Editori sostenere le piccole e medie aziende italiane. Vediamo se l'energia della Cina e della principale banca cinese muoveranno anche le banche italiane. (riproduzione riservata)

Paolo Panerai, Italia Oggi 27.9.2014

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