Avvisi ai sindacati e indennizzi

All’estero si licenzia così

In Cina il datore di lavoro dà un preavviso di 30 giorni. Negli Stati Uniti conviene avere un contratto a termine perché il recesso è inibito fino a scadenza

  di FABIO SAVELLI   Il Corriere della sera, 3.10.2014

In Cina basta una lettera ai sindacati per dare il preavviso. Trenta giorni, poi il licenziamento individuale è cosa fatta con un indennizzo concesso a chi ha maturato almeno sei mesi di anzianità lavorativa. Gli Stati Uniti sono ancor più liberali e liberisti se - per paradosso - conviene avere il contratto a termine, perché almeno la libertà di recesso da parte del datore di lavoro è inibita fino a scadenza. Con il tempo indeterminato invece sei fuori dalla porta il giorno stesso, a meno che il licenziamento sia discriminatorio (ma occorre dimostrarlo). Ecco il quadro comparato relativo alla disciplina dei licenziamenti redatto da Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi e guidata ora dal giuslavorista Michele Tiraboschi

Dalla flexisecurity danese al modello francese

Nella patria della flexi-security, la Danimarca, il licenziamento individuale è invece legittimo per motivi di ordine economico ed organizzativo e per ragioni soggettivi, riferibili al lavoratore stesso (tra i quali anche la mancanza di competenze per svolgere una determinata mansione). Sono tuttavia previsti da diversi contratti collettivi veri e propri programmi di outplacement, cioè atti a ricollocare il lavoratori con misure formative. In Francia chi ha un contratto a tempo indeterminato può essere licenziato soltanto se sussiste una causa seria e reale basata su motivi personali ed economici. L’indennizzo - secondo uno schema analogo al contratto a tutele crescenti - è in relazione alla durata del rapporto di lavoro, ma bisogna aver maturato almeno un anno di anzianità lavorativa.

Le tutele tedesche e l’obbligo di preavviso

La Germania, poi, apertamente descritta come la best-practice europea per il giusto equilibrio tra tutele e flessibilità, qualifica il licenziamento come una misura da ultima istanza. Può essere, certo, legittimo, ma deve essere «socialmente giustificato» per ragioni personali (viene meno il rapporto di fiducia con il lavoratore) oppure per esubero di personale a seguito di riorganizzazioni aziendali. Questa normativa si applica a tutti i contratti di lavoro nel settore privato e nella maggior parte dei contratti nel settore pubblico. Esiste però l’obbligo di preavviso da parte del datore di lavoro, che deve informare il comitato aziendale per iscritto sui motivi dei licenziamenti che intende promuovere, prima di comunicarlo al lavoratore. In Giappone invece non solo il licenziamento è ammesso per giustificato motivo oggettivo, ma non è necessaria neanche una corresponsione di alcun indennizzo, tanto meno sono previsti specifici programmi di ricollocazione.

Il modello inglese e la liberalizzazione spagnola

Nel Regno Unito la normativa è assimilabile per certi versi a quella anglosassone di derivazione americana, tuttavia l’influenza di matrice europea fa sì che è previsto un indennizzo monetario per il lavoratore nel caso di crisi aziendale che ha natura crescente: più è alta l’anzianità lavorativa, più è alto l’assegno. In Spagna la normativa è invece appena cambiata anche per venire incontro ai desiderata di Bruxelles che auspicavano una maggiore flessibilità in uscita. Ora il licenziamento è possibile per quattro categorie definite come cause oggettive: 1) incapacità del dipendente; 2) difficoltà del dipendente ad adattarsi alle modifiche tecniche del lavoro; 3) motivi economici, produttivi e tecnologici; 4) assenza dal lavoro (oltre il 20% dei giorni lavorativi per due mesi consecutivi). La legge ha però introdotto un indennizzo per il lavoratore in uscita, previsto anche per chi aveva un contratto a termine. Modelli del tutto diversi dallo Statuto dei Lavoratori in vigore da quarant’anni. Ne va della nostra produttività?Avvisi ai sindacati e indennizzi

All’estero si licenzia così

In Cina il datore di lavoro dà un preavviso di 30 giorni. Negli Stati Uniti conviene avere un contratto a termine perché il recesso è inibito fino a scadenza

In Cina basta una lettera ai sindacati per dare il preavviso. Trenta giorni, poi il licenziamento individuale è cosa fatta con un indennizzo concesso a chi ha maturato almeno sei mesi di anzianità lavorativa. Gli Stati Uniti sono ancor più liberali e liberisti se - per paradosso - conviene avere il contratto a termine, perché almeno la libertà di recesso da parte del datore di lavoro è inibita fino a scadenza. Con il tempo indeterminato invece sei fuori dalla porta il giorno stesso, a meno che il licenziamento sia discriminatorio (ma occorre dimostrarlo). Ecco il quadro comparato relativo alla disciplina dei licenziamenti redatto da Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi e guidata ora dal giuslavorista Michele Tiraboschi (guarda nel dettaglio le normative per Paesi).

Dalla flexisecurity danese al modello francese

Nella patria della flexi-security, la Danimarca, il licenziamento individuale è invece legittimo per motivi di ordine economico ed organizzativo e per ragioni soggettivi, riferibili al lavoratore stesso (tra i quali anche la mancanza di competenze per svolgere una determinata mansione). Sono tuttavia previsti da diversi contratti collettivi veri e propri programmi di outplacement, cioè atti a ricollocare il lavoratori con misure formative. In Francia chi ha un contratto a tempo indeterminato può essere licenziato soltanto se sussiste una causa seria e reale basata su motivi personali ed economici. L’indennizzo - secondo uno schema analogo al contratto a tutele crescenti - è in relazione alla durata del rapporto di lavoro, ma bisogna aver maturato almeno un anno di anzianità lavorativa.

Le tutele tedesche e l’obbligo di preavviso

La Germania, poi, apertamente descritta come la best-practice europea per il giusto equilibrio tra tutele e flessibilità, qualifica il licenziamento come una misura da ultima istanza. Può essere, certo, legittimo, ma deve essere «socialmente giustificato» per ragioni personali (viene meno il rapporto di fiducia con il lavoratore) oppure per esubero di personale a seguito di riorganizzazioni aziendali. Questa normativa si applica a tutti i contratti di lavoro nel settore privato e nella maggior parte dei contratti nel settore pubblico. Esiste però l’obbligo di preavviso da parte del datore di lavoro, che deve informare il comitato aziendale per iscritto sui motivi dei licenziamenti che intende promuovere, prima di comunicarlo al lavoratore. In Giappone invece non solo il licenziamento è ammesso per giustificato motivo oggettivo, ma non è necessaria neanche una corresponsione di alcun indennizzo, tanto meno sono previsti specifici programmi di ricollocazione.

Il modello inglese e la liberalizzazione spagnola

Nel Regno Unito la normativa è assimilabile per certi versi a quella anglosassone di derivazione americana, tuttavia l’influenza di matrice europea fa sì che è previsto un indennizzo monetario per il lavoratore nel caso di crisi aziendale che ha natura crescente: più è alta l’anzianità lavorativa, più è alto l’assegno. In Spagna la normativa è invece appena cambiata anche per venire incontro ai desiderata di Bruxelles che auspicavano una maggiore flessibilità in uscita. Ora il licenziamento è possibile per quattro categorie definite come cause oggettive: 1) incapacità del dipendente; 2) difficoltà del dipendente ad adattarsi alle modifiche tecniche del lavoro; 3) motivi economici, produttivi e tecnologici; 4) assenza dal lavoro (oltre il 20% dei giorni lavorativi per due mesi consecutivi). La legge ha però introdotto un indennizzo per il lavoratore in uscita, previsto anche per chi aveva un contratto a termine. Modelli del tutto diversi dallo Statuto dei Lavoratori in vigore da quarant’anni. Ne va della nostra produttività?

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