N’ombra de Zaia. Quelle parole ubriache sui soldati
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americani da curare “a casa loro”
di Redazione | 30 Ottobre 2014 ore 06:20 Il Foglio
Da “aiutiamoli a casa loro” a “facciano i bagagli e se ne vadano a casa loro, mica possiamo diventare un lazzaretto” – dove gli appestati non sono i clandestini ripescati da Alfano, per una volta, ma i militari americani che “dovrebbero fare la quarantena a casa loro” – si può misurare senza paura di sbagliare tutta la tragicomica parabola calante del patrimonio concettuale del fu leghismo di marca veneta. Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, non ha infatti trovato di meglio che ricicciare uno spompato, ma in questo caso più che altro stupido, slogan dei tempi andati: “Prima vengono i veneti, poi gli americani”. La faccenda, perfino banale, è il rientro nella caserma Del Din, base statunitense a Vicenza, di alcuni militari americani che sono stati messi in isolamento in quanto provenienti dalla Liberia, paese tra i più colpiti da ebola. (L’ambasciata americana, da Roma, ha spiegato che il “rischio potenziale di infezione è basso” e che i militari non hanno “avuto contatto con persone contagiate dal virus”. Ma evidentemente in laguna, dove si credono ancora dogi, gli ambasciatori non li ricevono). Così il governatore ha formulato il suo editto: “Credo che un paese civile di fronte a un esodo biblico di immigrati ha il dovere e l’obbligo di alzare le barriere”.
Per quanto leghista della seconda ora, per quanto esteta della politica come amministrazione di capannone e della terra padana come ultimo orizzonte che la logica esclude, persino Luca Zaia dovrebbe saper distinguere, se non l’alleato dall’invasore, almeno l’amico dal nemico. Se di basi militari americane sono pieni il Veneto e il Triveneto, qualche motivo storico c’è. Se quelle basi nei decenni hanno portato sicurezza e libertà, e ancora adesso portano schèi in tasca alla “gente veneta”, qualche motivo pure di reciproca convenienza c’è. E se i suoi amici del Leòn, da decenni e senza particolare costrutto, gridano all’indipendenza, è perché quella loro terra è stata difesa e arricchita anche dai soldati che adesso dovrebbero andare in quarantena a casa loro. E non c’è nemmeno bisogno di ricordare tutte le Peggy Guggenheim che ogni giorno salvano Venezia, che, come si sa, fosse per il Mose sarebbe già colata a picco. Lo spettacolo di Zaia che su ebola insegue persino Grillo, che a sua volta sugli stranieri insegue Salvini, in una baruffa chiozzotta da ubriachi, davvero grottesca. Se poi lo straniero da buttare a mare sono i marines, aridatece il centralismo.