Renzi ora può rottamare il Pd

dei Di Stefano e delle Madia

di Edoardo Narduzzi  Italia Oggi 11.11.2014

Tutti si chiedono, dopo aver letto il suo curriculum, come sia stato possibile affidare alla recente Leopolda il coordinamento del tavolo sui «pagamenti digitali» al deputato Marco Di Stefano. Dei temi digitali e più in generale di tecnologia il parlamentare, indagato dalla magistratura romana per una presunta tangente da circa 2 milioni di euro pagata dagli imprenditori Pulcini per appalti alla Regione Lazio, non sa nulla. Quindi, follia degli organizzatori leopoldini? Niente affatto, perché Di Stefano è un pezzo forte della corrente piddina romana della ministra Marianna Madia che di digitale si occupa per ragioni di esecutivo e da anni vicino, i due si frequentano politicamente dal 2006 quando entrambi erano in Regione Lazio, e supporter politico della neodirettrice dell'Agid, Alessandra Poggiani, altra componente del cerchio magico della Madia (tutti e tre, prima di scoprire Renzi, hanno militato nella componente del Pd di Enrico Letta). Con tutte queste credenziali da mettere sul tavolo pare ovvio che alla «corrente» Madia il tavolo della Leopolda sui pagamenti digitali spettasse di diritto, seguendo la logica da neo Cencelli che assegna i tavoli tematici. Le prossime settimane chiariranno se Di Stefano sarà il secondo parlamentare Pd a finire nelle patrie galere dopo Francantonio Genovese, ma la vicenda aiuta comunque a capire perché Renzi deve rapidamente sbarazzarsi delle logiche organizzative e di selezione ereditate dai suoi predecessori. Di Stefano nasce politicamente nella Dc romana di Vittorio Sbardella quando i voti di preferenza avevano fatto del bilancio pubblico un ufficio elettorale. Fu Walter Veltroni a volerlo nel Pd, insensibile a chi lo metteva in guardia sul fatto che i metodi sbardelliani avrebbero inquinato la competizione interna. Veltroni aveva bisogno di voti e chi garantiva pacchetti sicuri era comunque il benvenuto. Quella di Veltroni era una leadership debole, quindi condizionata dal bisogno di sommare ai voti ex comunisti anche i capi bastone. Partiva dal 27% e doveva provare ad arrivare al 40%. Prendere a bordo i Fiorito like era un rischio che si doveva correre per provare a vincere. Matteo Renzi non è più sotto questo ricatto. Lui parte dal 41% e da un consenso chiaro che gli italiani gli hanno attribuito. Può fare per la prima volta del Pd un partito europeo, azzerando il vero spread che ci separa dalla Ue: potete vivere un anno in Germania o in Olanda e mai leggerete sui giornali storie come quella di Di Stefano. A Renzi i Di Stefano non servono a nulla, li può rottamare senza pietà perché portano solo voti che lui ha già preso. Oggi il premier può fare del Pd un partito finalmente europeo con una leadership forte e in grado di selezionare, sulla base delle competenze e dell'utilità effettivamente apportata, i suoi parlamentari. Questa è la più formidabile spending review che il premier può regalare ai suoi cittadini.

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