I GIORNI CONTATI DI GIORGIO NAPOLITANO

 SEGNATEVI QUESTA DATA 20 GENNAIO

  1. FATE UN CERCHIO SUL CALENDARIO, GIOCATEVI IL NUMERO AL LOTTO, ACCETTATE SCOMMESSE CON GLI AMICI PERCHÈ DOVREBBE ESSERE QUELLO IL GIORNO IN CUI GIORGIO NAPOLITANO RASSEGNERÀ UFFICIALMENTE LE DIMISSIONI - 2. NON E’ UN PAESE “MIGLIORE” QUELLO CHE IL “MIGLIORE” (NAPOLITANO) LASCERA’ IN EREDITA’ - 3. LO STESSO PRESIDENTE USCENTE, DEL RESTO, È “AMAREGGIATO” E CON GLI AMICI NON NASCONDE LA SUA DELUSIONE PER AVER “BRUCIATO” TRE GOVERNI (MONTI, LETTA E RENZI) - ESAUTORANDO, DI FATTO, IL PARLAMENTO -, E DI AVER GARANTITO IL “PATTO OCCULTO” DEL NAZARENO (RENZI & BERLUSCONI) SENZA RIUSCIRE A DIPANARE LA MATASSA POLITICO-ISTITUZIONALE (DALLA LEGGE ELETTORALE ALLA RIFORMA DEL SENATO), CHE ANCORA PIÙ AGGROVIGLIATA (ELEZIONE DEL NUOVO CAPO DELLO STATO) LASCERÀ NELLE MANI, PRESUMIBILMENTE LEGATE DAL PREMIER RIBALDO RENZI, DEL SUO SUCCESSORE -

1. DAGOANALISI 13 NOV 2014 12:57

Merita rispetto Giorgio Napolitano protagonista di una stagione politica lunga sessant’anni che dalle fila rosse del Pci l’ha portato alla più alta carica dello Stato.

A lui l’onore delle armi, dunque.

E merita la equa considerazione non soltanto dal sito del “Financial Times e dai tanti adulatori in servizio permanente nei giornaloni dei Poteri marciti, ma anche da parte di un sito irriverente qual è (e deve essere) Dagospia.

Giorgio II, dunque, abdica dopo aver accettato, un anno fa, di succedere a se stesso, Giorgio I, nel tentativo (ahimè mancato) di rimettere ordine in quel reame della politica in cui sembrano saltate tutte le vecchie regole del gioco.

A cominciare da quelle istituzionali, di cui il presidente della Repubblica è il supremo garante.

Nell’Italia alla ricerca del suo autore pirandelliano, il sommo Eugenio Scalfari sancisce, soprattutto con il cuore, che il suo “amico” Napolitano è stato invece “uno dei nostri migliori presidenti della Repubblica”. Grazie, aggiunge, alla “fermezza” dimostrata nel gestire gli “affari di stato” e per la “moral suasion” esercitata (fin troppo, aggiungiamo) nel corso del suo doppio mandato.

Il giudizio, generoso, su Re Giorgio del fondatore de “la Repubblica”, va rispettato ma, purtroppo, fa a pugni con il pungente esercizio della critica da lui svolta, sullo stesso quotidiano, di fronte ad altre debordanti e problematiche figure quirinalizie. Da Giovanni Leone a Francesco Cossiga.

Già la maledizione del Colle più alto. Senza fare sconti neppure al socialista Sandro Pertini.

Il mitico presidente-partigiano che nell’eventuale richiesta del tribunale di Palermo di essere “ascoltato” insieme all’avvocato del boss mafioso Riina, a differenza di un rassegnato e stanco Napolitano, avrebbe schierato – alla pari di Kossiga -, i carri armati a difesa dell’inviolabilità costituzionale (sacrosanta) del Colle più alto.

Così da impedire un pericoloso precedente.

Tant’è che sul “Corriere della Sera“, vale la pena ricordarlo ancora una volta, il costituzionalista Michele Ainis ha dovuto osservare, perplesso: “Ieri è entrato in scena il Precedente. Ossia un fatto istituzionale mai avvenuto prima, che però da qui in avanti potrà replicarsi all’infinito. È la grammatica delle democrazie, intessute di regole scritte e d’interpretazioni iscritte nella storia. E il Quirinale non fa certo eccezione. Anzi (…) E la qualità del precedente si misura dalla sua ragionevolezza (…) Ma che l’avvocato di Riina diventi per un giorno il portavoce del Quirinale, almeno questo è un paradosso che potevamo risparmiarci”.

Nei confronti del “golpista” Franceschiello poi - “disturbatore della quiete repubblicana” -, lo stesso Scalfari nel 1991 fu tra i promotori della richiesta d’impeachment con l’accusa (fasulla) di aver “tradito” il nostro, ripetutamente, la magna Carta.

Un’iniziativa, quella sì, davvero folle. Per fortuna (delle istituzioni) abortita sul nascere dopo un patetico tentativo di marcia sul Colle più alto. E abbracciata senza alcuno scrupolo dallo “zombi con i baffi”, come Cossiga bollò, impietoso, Achille Occhetto. Ai tempi segretario dell’ex Pci. Il partito in cui militava Napolitano.

La “Cossigheide” che ogni giorno pubblicava “la Repubblica” testimonia abbondantemente che allo scomparso statista di Sassari, altro personaggio davvero “pirandelliano” (copyright sempre di Scalfari), non fu perdonato quanto oggi è invece condonato, extra ordinem?, a Re Giorgio I e II.

Nei giorni contati dell’uscita di Napolitano dal palazzo del Quirinale allora forse è troppo presto per esprimere un giudizio compiuto sulla correttezza istituzionale del suo alto agire.

Lo stesso presidente uscente, del resto, è “deluso” e “amareggiato” per aver sfidato, e a volte infranto, l’art. 87 della Costituzione senza raccogliere i risultati sperati.

E con gli amici non nasconde neppure la sua delusione per aver “bruciato” tre governi (Monti, Letta e Renzi) - esautorando, di fatto, il Parlamento -, e di aver garantito il “patto occulto” del Nazareno (Renzi&Berlusconi) senza riuscire a dipanare la matassa politico-istituzionale (dalla legge elettorale alla riforma del Senato), che ancora più aggrovigliata (elezione del nuovo capo dello Stato) lascerà nelle mani, presumibilmente legate dal premier ribaldo Renzi, del suo successore.

Così, al momento che sul pennone del Quirinale sventolerà la bandiera bianca della resa di Re Giorgio, l’unico interrogativo è se egli lascia in eredità (o meno, come dubitiamo) un Paese migliore di quello fin qui retto, secondo il sommo Scalfari, da “il Migliore”.

 2. NAPOLITANO, ORA C’È LA DATA DI SCADENZA - ADDIO IL 20 GENNAIO

Massimiliano Scafi per “il Giornale”

Segnatevi questa data, 20 gennaio. Fate un cerchio sul calendario, giocatevi il numero al Lotto, accettate scommesse con gli amici perchè, stando almeno a quanto raccontano fonti stavolta davvero autorevoli, dovrebbe essere quello il giorno in cui Giorgio Napolitano rassegnerà ufficialmente le dimissioni.

Dunque, niente tempi supplementari, niente mesi in più. Nonostante le pressioni di Matteo Renzi, che vorrebbe rinviare almeno a primavera la rischiosa pratica dell'elezione del nuovo presidente, Re Giorgio avrebbe deciso di mantenere il programma che aveva fissato: conclusione del semestre italiano di presidenza europea, incontro verso il 20 dicembre con le alte cariche della Repubblica per il rituale scambio di auguri, discorso di Capodanno agli italiani con preannuncio in diretta della sua uscita di scena per comprensibili motivi di età e di «insostenibilità» fisica del ruolo. Poi, dopo la Befana, le tante procedure formali e la firma della rinuncia al mandato presidenziale.

Un cronoprogramma che ufficialmente non trova nessuna conferma. Anzi, dal Quirinale non solo smentiscono la data ma anche che il capo dello Stato abbia preso una decisione. In realtà non può essere così, Napolitano sa benissimo che cosa vuole fare e quando farlo, ma chiaramente vorrebbe tenere riservata la data per due motivi.

Primo, perchè è una scelta che tocca solo a lui e non vuole subire pressioni o condizionamenti. Secondo, perché annunciare in anticipo di voler lasciare il Colle significa dare una scadenza al mandato, depotenziare la sua figura, aprire di fatto una specie di «bimestre bianco». Invece, come c'è scritto nella nota diffusa domenica scorsa, il presidente intende mantenere fino all'ultimo giorno i suoi poteri e le sue prerogative.

Giochi fatti? Renzi continua comunque a sperare che non sia così. Dal Pd spiegano che il premier non vorrebbe trovarsi a febbraio un Parlamento bloccato per l'elezione del capo dello Stato, magari senza un accordo preventivo su un nome e quindi impantanato come l'ultima volta in settimane di inutili votazioni.

E intanto le riforme verrebbero rimesse in frigorifero, la politica si paralizzerebbe e i mercati internazionali, implacabili, ci punirebbero. A Palazzo Chigi, dicono, ha fatto molta impressione l'omaggio del Financial Times a Giorgio Napolitano, «unica istituzione rafforzata negli ultimi 15 anni». Il quotidiano della city conclude augurandosi che l'Italia «riesca a trovarne un altro uguale».

Da qui il pressing renziano sul Quirinale negli ultimi giorni, la richiesta di restare se non fino novant'anni, a giugno, almeno fino maggio. L'altra sera da Vespa si era detto ottimista: «Forse ci farà una sorpresa...». Del resto la paura di Matteo su una possibile paralisi parlamentare, quando i mille grandi elettori saranno chiamati a scegliere il futuro capo dello Stato, è abbastanza giustificata.

Basta vedere quello che è successo con la Consulta e il Csm, il gioco di veti e di vendette che ha provocato un lungo stallo non ancora concluso, dato che manca ancora da eleggere un candidato di Forza Italia alla Consulta. Come pensare che non accadrebbe lo stesso per il Quirinale? Come dimenticare la carica dei 101 che hanno pugnalato Prodi, o la notte che ha affossato Marini? A meno che stavolta dall'incontro tra Renzi e Berlusconi, oltre all'Italicum, sia uscito anche il nome del prossimo re repubblicano.

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