Una voluntary a ostacoli

La voluntary disclosure è legge. Ma funzionerà? Nì, più no che sì. Il governo si aspetta un gettito di almeno 5 miliardi di euro. Il tam tam degli operatori ipotizza una cifra tra 1 e 2 miliardi. Poco, rispetto ai 300 e passa miliardi detenuti all’estero dagli italiani.

Sarà l’ennesima occasione persa da un legislatore che, negli ultimi anni, non ne ha imbroccata una giusta. Così com’è infatti il percorso previsto per far rientrare i capitali dall’estero è troppo complesso, denso di incognite, in molti casi anche troppo costoso. Finiranno per aderire molti pesci piccoli, quelli con capitali sotto i 2 milioni di euro, che possono utilizzare il sistema di calcolo forfettario. La sanatoria è conveniente anche in alcuni casi di capitali giacenti da molto tempo oltrefrontiera, tipico il caso dei patrimoni ereditati.  E una spinta, in alcuni casi, potrebbe venire dalla cosiddetta voluntary interna.

In tutti gli altri casi si cercheranno strade alternative, al costo di assumersi grossi rischi, piuttosto che consegnarsi mani e piedi legati all’Agenzia delle entrate, con una confessione piena che rischia di coinvolgere in un ingranaggio infernale e fuori controllo, i soci, i partners commerciali, i professionisti, le aziende possedute o controllate ecc. Da questo punto di vista la voluntary è una scelta che si può fare solo se si nutre una grande fiducia nei confronti della lealtà e della correttezza del fisco italiano. Considerando quello che è successo a chi ha fatto lo scudo fiscale, trasformatosi gradualmente da salvacondotto a strumento di tortura del contribuente, la fiducia nella capacità di rispetto dei patti sottoscritti dalle autorità fiscali italiane dovrebbe essere al di sotto di ogni sospetto.

Di Marino Longoni, Italia Oggi

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