Riforma del lavoro, pasticcio in agguato

 Nel negoziato sul mercato del lavoro non si è ancora

raggiunto un accordo tra tutte le parti sociali. Probabilmente, dopo la riunione del Comitato direttivo della Cgil, si procederà a una verbalizzazione che darà conto delle posizioni di ciascuno. In sostanza, si troverà un modus vivendi: ovvero una forma articolata di certificazione del consenso e del dissenso, che permetterà a ciascuna delle parti di esprimere le proprie valutazioni (con la promessa tacita di far seguire, al massimo, una conflittualità di facciata, come avvenuto nel caso delle pensioni). Insomma: dixi et servavi animam meam. In altre parole: ognuno ha salvato la faccia. A questo punto, il confronto si sposterà, sulla base di un testo del governo, in Parlamento (probabilmente al Senato dove la Commissione Lavoro ha un maggior dna riformista di quello della Camera). Dipenderà molto, allora, dagli strumenti legislativi e dalle relative procedure che il governo adotterà (con legge delega?) e dai margini di mediazione consentiti.

 Quanto al merito, il Pdl ha ottenuto una vittoria di principio perché l’articolo 18 dello statuto sarà modificato secondo una versione italiana della cosiddetta soluzione tedesca. Ovvero: reintegra obbligatoria solo nel caso di licenziamenti discriminatori; valutazione del giudice tra reintegra e indennizzo per il recesso dovuto a ragioni disciplinari; solo indennizzo a fronte di motivi di carattere economico. La misura degli indennizzi è particolarmente onerosa tanto da sembrare vessatoria. Gli effetti pratici di tali modifiche saranno, invero, assai modesti.

 La Cgil (e quindi) il Pd, magari senza accorgersene, conseguiranno un successo, in via di fatto, di ampia portata; perché nel provvedimento del governo passeranno gli pseudovalori della mistica della precarietà. Sui rapporti di lavoro flessibili, calerà una vera e propria 'cortina di ferro'. Su tali tipologie (che regolano la cosiddetta flessibilità in entrata della legge Biagi) graveranno una pregiudiziale di illegittimità ed un inversione dell’onere della prova a carico dei datori, che scoraggeranno le imprese dal farne uso. Ma, al di là della doverosa lotta agli abusi, chi pensa di costringere le aziende ad assumere a tempo indeterminato attraverso un percorso fatto di vincoli, divieti, autorizzazioni ed ispezioni è un illuso, perché esse preferiranno non assumere.

 Non siamo in presenza di una flessibilità 'bonificata' ma ad un progetto, prima di tutto culturale, ostile alle esigenze di nuovi tipi di impiego. Dopo questa riforma il mercato del lavoro diventerà più rigido, a scapito della crescita e dell’occupazione.

Giuliano Cazzola – Quotidiano.net 20.3.2012

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