Lettere al Direttore Il Foglio 10.1.2015

Scegli: una manif contro l’islamofobia e una per l’occidente

1.Al direttore - Un generale (Kemal Atatürk) novant’anni fa ha abolito il califfato in Turchia. Un generale (al Sisi) oggi vuole sradicare il califfato e ogni forma di fanatismo religioso dal mondo musulmano. Qualche volta, evviva i generali. Il discorso del presidente egiziano è però ancora reticente su un punto, che è il punto. L’epicentro della rinascita del radicalismo islamico, infatti, è l'Arabia Saudita. Storicamente, la sua monarchia è stata identificata con il puritanesimo beduino della versione wahhabita dell’islam. Un riconoscimento religioso a cui il regime deve la sua stabilità politica. Le immense ricchezze petrolifere delle élite al potere sono state usate per finanziare la diffusione delle moschee e dei pellegrinaggi alla Mecca, nonché l’istituzione di scuole religiose e collegi in tutti i continenti. Come è logico supporre, ciò è stato fatto a beneficio dell'intransigente fondamentalismo wahhabita-salafita, che cerca la sua ispirazione nelle prime generazioni dei seguaci di Maometto. Ora, è vero che da tempo wahabiti, sunniti e sciiti si scannano tra loro, ma anche le pietre sanno del sostegno che gli sceicchi hanno dato e continuano a dare alle nuove organizzazioni jihadiste globali. Una realtà su cui al Sisi ancora tace, e su cui l’occidente ha sempre fatto orecchie da mercante. Insomma, caro direttore, come pensa che sia possibile una “rivoluzione contro l’ideologia islamista” se su chi la foraggia gli Stati Uniti e l’Europa non cessano di cazzeggiare?

Michele Magno

2.Al direttore - Pur non condividendo molti punti del commento dell’Elefantino sulla strage di Parigi pubblicato sul Foglio del 9 gennaio, tuttavia sono suggestionato dalla forza e dalla determinazione argomentative dell’articolo, anche per lo sgomento di fronte alla violenza, vile e inaudita, dell’assalto a Charlie Hebdo. E rilevo che, purtroppo, non altrettanta capacità argomentativa si riesce a formare nei sostenitori di tesi opposte. Un concetto, invece, condivido senz’altro: quello, che a me sembra oggi cruciale, espresso dall’Elefantino  quando sostiene che non dobbiamo più essere divisi tra chi denuncia il rischio dell’islamismo e chi combatte l’islamofobia. Naturalmente, aggiungo io, mettendo fuori da questo comune fronte di elaborazione culturale, sociale e istituzionale nonché di azione posizioni à la Le Pen sull’introduzione della pena di morte o à la Salvini che, tra l’altro, vorrebbe insegnare al Papa come essere cattolico. E’, dunque, per questo terreno comune che bisognerebbe agire in un periodo in cui molte certezze sono rimesse in discussione. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

Detesto la famiglia Le Pen, specie la famiglia in senso politico. Non ho stima per Salvini come uomo pubblico, niente di personale. Mi sono domandato a notte fonda, leggendo della divisione républicaine in Francia: se ci fossero due manifestazioni, una contro l’islamofobia e in solidarietà generica con le vittime libertine della fusillade, e una favorevole a una reazione orgogliosa, forte, identitaria, occidentalista contro il partito armato della sharia islamica,  a quale delle due andrei, visto che non sono della razza di quelli che restano a casa? Andrei dalla Le Pen a fare numero, con la testa confusa di tristezza. Ecco.

3.Al direttore - Quando sulla strage di Parigi tutto sarà stato detto, si dirà qualcosa. 

Umberto Silva

4.Al direttore - Come Chamberlain, Bonnet e Daladier nel 1939 a guerra cominciata cercavano a parole di “salvare la pace” ed “evitare una guerra sanguinosa” che era già cominciata, ma loro facevano finta di non accorgersene. Come dopo Monaco le masse festanti che accoglievano i loro eroi che in nome di una pace che non ci sarebbe stata avevano venduto la Cecoslovacchia al nemico. Oggi sono ancora qui gli epigoni di Bonnet di Daladier, di Chamberlain a prodigarsi a spiegarci che no, non dobbiamo iniziare una guerra di religione che è già cominciata da più di un anno anche qui da noi e da molti anni è in corso a pochi passi da noi, una guerra che ha prodotto già milioni di morti innocenti. Stiamo già scappando e ci siamo già arresi. Perché è più facile arrendersi che lottare.  Ci sono i pochi vivi, che oggi prendono gli insulti, gli sputi e gli sberleffi, ma dicono NO! e i tanti, che sono già morti e continuano a preferire viversi addosso, senza vergogna. Grazie per avere fatto sapere agli idioti che c’è ancora qualcuno che non si vuole semplicemente arrendere.

Giovanni De Merulis

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