Diplomazia, fede e ospedale

Curare le ferite di una guerra di religione. Mica tanto facile

di Redazione | 13 Gennaio 2015 ore 06:09

Che il Papa gesuita non parli mai a caso, neppure quando parla a braccio, è una constatazione che solo i superficiali e i riottosi si ostinano a negare. Quando parla in discorsi ufficiali, come ieri ricevendo il Corpo diplomatico, Papa Francesco improvvisa anche meno e sa che cosa vuole dire. Ieri ha chiesto ai “leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani” di “condannare qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione”. Ma il metodo “è una risposta unanime” che “ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite”. Bergoglio ha preferito insomma continuare su una linea, come spieghiamo in un articolo di prima pagina, che potremmo con lieve irriverenza definire dell’ospedale da campo applicato alla geopolitica (“guerra fra religioni” è espressione che appartiene all’indicibile cattolico).

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 L’onore della ragione da rendere al Ratzinger illuminista di Ratisbona  Per il Vaticano la linea è l’ospedale da campo geopolitico Il Vaticano per lunghi decenni ha fatto buon conto, andreottianamente, su una sorta di non belligeranza con l’islam. Che la distopia islamista di Houellebecq non interessi un anziano cardinale portatore di una sapienza teologica novecentesca è comprensibile, che non colga nel tema della crisi dell’illuminismo laicista un punto, se non in suo favore, ma su cui interrogarsi, è una cosa che forse spiacerà al professor Ratzinger, e temiamo a pochi altri cattolici. L’impressione è che non ci sia (ancora) un pensiero adeguato a un rapporto tra le religioni pericolosamente cambiato. Resta il dubbio, più abrasivo sotto le raffiche dei kalashnikov jihadisti e le simbologie di bandiere nere sopra San Pietro, che una chiesa intimorita o forse priva di un pensiero forte stia esponendosi a un rischio non calcolato. Buon viaggio in estremo oriente.

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