Da nove mesi c'è una guerra in Centro Europa

e nessun vuol essere disturbato

di Pierluigi Magnaschi  Italia Oggi 10.2.2015

La guerra in corso nelle province orientali russofone dell'Ucraina non è una guerra simulata, fatta di scontri occasionali, ma è una guerra vera e propria dove si scontrano, per il momento, l'esercito russo e l'esercito ucraino. I soldati russi, in grado di guidare i carri armati dell'ultima generazione, di usare i missili più sofisticati, di controllare lo spazio aereo, di posizionare le artiglierie non sono dei patrioti ucraini ma dei soldati russi mimetizzati. Non portano le mostrine e i gradi russi, non esibiscono le bandiere moscovite. Quando muoiono (sì, muoiono anche loro; e in gran numero) le salme vengono restituite in segreto ai loro familiari in Russia e sono sepolte quasi clandestinamente, senza squilli di tromba e picchetti d'onore. Erano soldati ma sono morti da clandestini. Di essi, l'esercito russo non vuol sapere niente. Li ha mandati a morire ma non poteva mandarli, visto che la Russia è in attrito ma non in guerra con Kiev. Quindi questi cosiddetti volontari non sono mai morti. Bisogna disfarsene anche perché non ci vuol niente a diffondere in Russia, accanto all'entusiasmo nazionalistico che, per il momento, ha spinto alle stelle il gradimento di Putin, anche il senso di frustrazione che, ai tempi dell'Afghanistan, costrinse al ritiro il glorioso esercito dell'Urss che aveva prima resistito e poi battuto le armate di Hitler a Stalingrado.

Come al solito, una guerra non nasce quasi mai per la responsabilità di un solo antagonista. In questo caso, la prima mossa falsa è stata fatta dagli Stati Uniti che, contribuendo, per loro avventate ragioni geostrategiche, ad abbattere il governo legittimo (ma filorusso) di Yanukovic, hanno messo la vicina Russia di fronte alla possibilità che l'intera Ucraina potesse prima finire nella Ue e dopo nella Nato. Per impedire che i missili sovietici, nella stagione di Kruscev, venissero installati a Cuba, John Kennedy minacciò di far scoppiare una guerra atomica con l'Urss che fu evitata solo perché le navi che trasportavo i missili sovietici fecero un penoso (per loro) dietrofront. Le ostilità della Russia contro Kiev nascono da una provocazione di questo tipo. La Russia di oggi è un paese infragilito (il pil pro capite calcolato in dollari è di poco superiore alla metà di quello dell'Italia, dopo che il rublo ha perso il 46% del suo valore) ma resta un paese imbottito di armi di ogni genere. Invecchiate ma pericolosissime.

Non sarà facile evitare la guerra in Ucraina che, di fatto, anche se non è mai stata dichiarata, si sta combattendo con tutti i crismi e le distruzioni di una guerra vera e propria. Il primo obiettivo adesso è quello di circoscriverla e, possibilmente, di spegnerla. Alle armi e alle minacce bisogna far seguire le trattative e i compromessi. Da questo punto di vista, la visita di Merkel e Hollande a Mosca, per incontrare ufficialmente Putin, è stato un passo importante. Che non ha dato i frutti sperati (più dall'opinione pubblica che non dai due leader occidentali) ma che tiene aperti i canali di comunicazione al massimo livello.

Molto realisticamente, adesso, l'Occidente deve essere disposto a impegnarsi perché l'equilibrio militare nel Centro Europa non sia modificato a danno della Russia, impegnandosi quindi a non accogliere l'Ucraina nella Nato. L'Ucraina quindi dovrebbe, in sostanza, restare un paese neutrale, una sorta di Svizzera. E nelle trattative, Kiev deve essere pronta a concedere una larga autonomia (tipo, per rendere l'Italia come nel nostro Alto Adige alle tre province russofone dell'Est Ucraina).

La guerra, in un paese che confina a Ovest con Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia, è una guerra ai confini dell'Europa. La sua miccia potrebbe portare lo scontro oltre ogni livello oggi immaginabile. L'Europa quindi non può giocare alla provocazione. Anche se deve mettere sin d'ora dei limiti precisi all'appetito russo che, dopo 23 anni di umiliazioni conseguenti alla disintegrazione dell'Urss, cerca, non solo, di rialzare il capo (il che è comprensibile) ma anche di esprimere la sua aggressività espansionistica. Che la Russia alzi il capo, va bene. Che sia rispettata, altrettanto (ecco il motivo delle attuali trattative). Ma non si può permettere che la Russia, giocando sul nazionalismo grande slavo di ritorno, imponga inaccettabili ipotesi espansive. Tanto per non andare lontano, il braccio di ferro che sta giocando (per motivi, in parte comprensibili, in Ucraina) sarebbe del tutto inaccettabile nei paesi baltici. Mosca deve saperlo, sin d'ora.

Pierluigi Magnaschi

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