Kiev pigola bisognosa, e pare Kabul

La tregua fragile con i russi a Minsk ha bisogno di assistenza e soldi

di Daniele Raineri | 12 Febbraio 2015 ore 21:04 Foglio

Roma. Nella notte tra mercoledì e giovedì Germania, Francia, Russia e Ucraina hanno fatto un accordo a voce, senza una firma su carta, per fermare i combattimenti nell’est dell’Ucraina a partire dal primo minuto di domenica 15 febbraio. E’ un patto a quattro che nelle fasi finali è stato negoziato direttamente da Angela Merkel, François Hollande, Vladimir Putin e Petro Poroshenko riuniti a Minsk, in Bielorussia, dove un primo cessate il fuoco era stato negoziato a settembre 2014 – e si è visto come è finito.

 

Il primo effetto di questo cessate il fuoco è che gli armamenti pesanti dovranno essere fatti arretrare dalla linea di contatto fra soldati ucraini e separatisti, a seconda della loro gittata: l’artiglieria dovrà allontanarsi di 50 chilometri, i lanciarazzi Grad di 75, i Tornado-S, gli Uragan e i Torch di 140 chilometri. Sono i sistemi d’arma con cui le due parti si martellano a vicenda dalla scorsa estate, prendendo in mezzo i civili – le vittime hanno superato quota 5.000 – e per questo si tratta di un punto importante che dovrebbe mettere fuori pericolo le aree vicine al fronte (per quanto non si sa), ma ci vorranno due settimane.

Il secondo effetto della tregua è che ci dovranno essere elezioni locali secondo la legge ucraina sullo “statuto speciale” per l’autogoverno “in alcune zone delle regioni di Donetsk e di Lugansk”, vale a dire in quelle controllate dalle milizie separatiste. La legge citata consente una certa autonomia regionale senza arrivare al federalismo, che il presidente ucraino Poroshenko considera “inaccettabile”, ma non è chiaro che conseguenze avrà la sua applicazione, considerato che già adesso gruppi armati  amministrano quei territori. La Rada, il Parlamento ucraino, dovrà approvare una risoluzione per le elezioni locali entro i prossimi ventinove giorni.

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L’accordo a quattro dovrebbe risolvere altre due questioni importanti: ci saranno scambi di prigionieri “tutti in cambio di tutti”, che quindi riguraderanno la totalità dei prigionieri nessuno escluso, e amnistie per chi combatte assieme con i separatisti; e Kiev revocherà le misure d’isolamento punitive contro le regioni ribelli, come il blocco dei sussidi pubblici e degli stipendi statali, e il divieto di circolazione. Ci dovrà essere un’intesa su come spartirsi le tasse.

Se la questione delle elezioni locali sarà risolta, allora entro la fine del 2015 l’Ucraina dovrebbe riavere indietro il controllo del confine orientale con la Russia – da cui passano i rifornimenti, le armi e gli uomini che vanno a rafforzare i separatisti, donando loro capacità militari che non avrebbero altrimenti – giovedì, mentre ancora si discuteva l’accordo, cinquanta carri armati russi hanno varcato il confine dalla Russia e sono entrati in Ucraina, secondo Associated Press che citava il governo di Kiev.

Quanto può durare questa tregua? Se il modello storico più citato in questo conflitto sono i Balcani degli anni Novanta, allora anche soltanto pochi giorni (anche se ovviamente si spera sarà definitiva). Giovedì il presidente russo Vladimir Putin ha detto che si aspetta che gli ottomila soldati ucraini impegnati nella battaglia di Debaltsevo si arrendano e cedano le armi, prima che sia concesso loro di sfuggire all’accerchiamento delle forze filo Mosca. Debaltsevo è una piccola città sull’autostrada strategica che collega le due capitali separatiste, Donetsk e Lugansk, e la capitolazione creerebbe di fatto una nuova linea di confine, meno di ventiquattr’ore dopo l’accordo internazionale su un cessate il fuoco che deve ancora entrare in vigore. Secondo Reuters, colonne di soldati russi con uniformi anonime stanno convergendo su quella zona, e due giorni fa diciannove soldati ucraini sono stati uccisi.

 

A Debaltsevo la situazione è uguale se non peggiore a quella della tregua effimera di settembre, quando i separatisti stringevano l’assedio all’aeroporto di Donetsk, considerato incedibile da Kiev, e da quel focolaio i combattimenti si riallargarono presto a tutto il fronte. Già da giovedì i capi delle due autoproclamate repubbliche separatiste hanno detto di non accettare le condizioni del cessate il fuoco, contribuendo ad aumentare l’ambiguità sul campo. I capi di stato negoziano tregue laboriose, i gruppi locali non si sentono vincolati, le cose non promettono bene.

Se non altro, questo secondo accordo di Minsk ha l’effetto di raffreddare e ritardare le discussioni sull’invio di armi americane sofisticate all’esercito ucraino, che la settimana scorsa hanno occupato molto spazio sui media. Sarebbe stato il segnale del via di una guerra per procura tra Washington e Mosca, combattuta in Ucraina.

L’aiuto occidentale intanto prende altre forme, e sembra a tratti di rivedere altre operazioni di assistenza in altri scenari, come in Afghanistan. Il Fondo monetario internazionale ha appena concesso (o almeno: c’è un pre-accordo promettente) al governo di Kiev un prestito da diciassette miliardi e mezzo di dollari per salvare il paese dalla bancarotta – anche se c’è un problema endemico di corruzione statale, come a Kabul. Seicento paracadutisti americani sono partiti per una missione di addestramento dei soldati ucraini, e secondo alcune fonti di stampa lituane, stanno arrivando in Ucraina rifornimenti di armi da Polonia e Lituania, entrambi paesi molto preoccupati dalla “guerra di Putin contro l’occidente”, come titola l’Economist. In copertina c’è un Putin trasfigurato in un burattinaio demoniaco.

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