Da dove vengono i tagliagole

Per capirlo meglio è utile rintracciarne l’origine attraverso un resoconto storico. Lo jihadismo è, nella forma in cui lo conosciamo oggi, figlio di una situazione complessa che si è andata creando a partire dalla fine del XVIII secolo

15/02/2015        Franco Cardini  Opinioni, l Giornle

Il termine jihadismo sembra ormai aver sostituito quelli, ad esso precedenti, di “fondamentalismo” e di “islamismo”. Nonostante i jihadisti si presentino come portatori di una fede pura, che vuole restaurare il fondamenti del primitivo Islam, si è invece dinanzi a un movimento profondamente modernista.

Tutto iniziò dalla simpatia e dall’ammirazione che il mondo musulmano tributava all’Europa a partire da inizio Ottocento: dopo l’arrivo del generale Bonaparte in Egitto e il suo “Proclama all’Islam” emanato in Alessandria il 2 luglio del 1798, il mondo musulmano fiorì addirittura di logge massoniche. Durante l’Ottocento le élites musulmane fecero a gara per mandar i loro figli a studiare nelle università europee; leggi europeizzatrici e modernizzatrici furono emanate dai sultani ottomani d’Islanbul (le Tanzimat), dai Khedivè egiziani, dagli Shah iraniani. Anche le riforme decisamente occidentalizzatrici di Mustafa Kemal Atatürk in Turchia e di Reza Pahlavi Shah in Iran, tra Anni Venti e Anni Trenta, sono la prova, nel secolo successivo, di questa tendenza.

LA DELUSIONE DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Durante il primo conflitto mondiale, però, avvenne la prima rottura. Gli inglesi avevano promesso al “custode “ (Mufti) dei Luoghi Santi musulmani, della Mecca e di Medina e re dello Hijaz, lo sharif Husein, di metterlo a capo di una “grande Arabia”, un’unione di tutti i popoli arabi, se essi avessero accettato di ribellarsi ai turchi (alleati della Germania) e di affiancare la causa delle potenze dell’Intesa. Husein pensava a un grande regno liberale istituzionalmente simile all’impero britannico dell’India, con un sistema bicamerale all’inglese, aderente al Commonwealth. Ma frattanto la Gran Bretagna e la Francia (con il patto diplomatico detto Sikes-Picot, del ’17) avevano fra loro già stabilito di dividersi alla fine della guerra il mondo arabo con il sistema neocoloniale dei “mandati”. Frattanto era aperta la “caccia al petrolio”.isis

Gli inglesi preferirono affidare l’Arabia non già al progressista e liberale Husein, bensì ai più primitivi sceicchi della penisola che si accontentarono delle royalties loro offerte dalle compagnie petrolifere. In cambio instaurarono nella loro terra un sistema di staterelli arcaici e chiusi alla modernità al di dentro, ma disposti a obbedire alle grandi potenze coloniali. Questa la situazione ereditata, dopo la seconda guerra mondiale, dagli Stati Uniti d’America.

Dinanzi alla slealtà e alla prevaricazione colonialistica, nacquero già negli anni Venti del secolo scorso movimenti come i “Fratelli Musulmani” fondati da al-Bannah in Egitto o quelli organizzati da Ali Jimma nell’India nordoccidentale, ispirati al principio che i popoli musulmani non potevano aspettarsi né la libertà né il recupero dell’antica egemonia sul mondo se non dal ritorno ad attingere alla forza primigenia dell’Islam. Indignati contro le potenze liberali europee che li avevano traditi nella prima guerra mondiale, i musulmani si volsero negli anni Venti-Trenta a simpatizzare con il fascismo e il nazionalsocialismo, negli anni Cinquanta con il socialismo sovietico. Furono, anche quelle, delusioni.

L’ALIBI DELLA RELIGIONE

Da qui, come accennato, l’anti-occidentalismo, è entrato nel codice genetico di buona parte del mondo arabo. Il fatto è che lo jihadismo non è affatto un movimento musulmano che intenda rilanciare la religione, e nemmeno un movimento che voglia politicizzare la fede. Al contrario, esso vuol “religionizzare la politica”: conferire alla sua volontà di potenza un’apparenza religiosa. Qui risiede il suo profondo modernismo, il suo ateismo di fatto: la legge e le tradizioni musulmane vengono usate come risorsa identitaria da una parte, come strumento di rivalsa contro l’Occidente dall’altra.

ESISTE UN ISLAM MODERATO. Gli occidentali si ostinano nel non comprendere il movimento “jihadista” e nel considerarlo riduttivamente come una forma di “fanatismo religioso”. In questo senso continuano a sfruttarne le forze quando sembra loro opportuno (gli statunitensi usarono i jihadisti sauditi e yemeniti contro l’Armata Rossa nell’Afghanistan degli Anni Settanta-Ottanta del secolo scorso; francesi e inglesi hanno usato gli jihadisti in Libia e in Siria per abbattere Gheddafi e per cercare di abbattere Bashar al-Assad) e a tentare poi di organizzare contro di loro le forze di un “Islam moderato”. Quest’ultimo in realtà esiste solo come unione delle forze che, nei paesi musulmani, sono disposte ad accettare e perpetuare l’egemonia dell’Occidente stesso. In questo modo si è tornati a una lotta religiosa feroce, che si è espressa recentemente nella persecuzione dei cristiani tra Siria e Iraq.

In realtà i governi occidentali debbono, se vogliono battere la piaga jihadista, rivedere profondamente la loro politica di appoggio alle lobbies multinazionali che rappresentano la prosecuzione della politica sette-novecentesca di sfruttamento coloniale. Finché ciò non avverrà, la disperazione dei poveri partorirà solo odio, fanatismo e dolore per tutti. Il pericolo e la violenza verranno fronteggiati solo quando ai popoli sarà restituita solo una parte delle loro ricchezze, che oggi viene drenata a vantaggio della finanza internazionale. Di questo passo, invece, si va preparando la strada alle guerre future.

Il multiculturalismo è una scemata. Se è vero che gli uomini sotto tutti uguali, le civiltà no. Inutile insistere. Stupido e immorale è continuare a sostenere che la Commedia di Dante abbia lo stesso valore di un feticcio africano, e che il Codex di Giustiano sia interscambiabile con la legge del taglione.

Multiculturalismo- Non solo: è ignobile vergognarsi di quanto straordinario la cultura occidentale abbia prodotto in 2.500 anni, pur tra guerre e massacri, consapevoli che essa ha sempre avuto al proprio interno gli anticorpi per emendare gli errori; ed è incivile, nel nome dell’uguaglianza culturale, dismettere i nostri valori, quelli soprattutto che crediamo legati al diritto naturale, e prederminati rispetto alla religione, quelli  cioè che spettano a ogni persona in quanto essere, al di là del sesso, della religione, della razza, della confessione.

Non vogliamo fare la morale: ricordiamo da occidentali colpevoli un Novecento in cui le nostre  guerre e le nostre dittature hanno provocato centinaia di milioni di morti nel mondo. Ma ha prevalso alla fine la giustizia, la libertà, perfino la libertà di rinnegare noi stessi, di dileggiare con ironia i costumi delle nostre patrie e dei nostri padri.

Detto questo, oggi dobbiamo diffidare innanzitutto dai cattivi maestri che ci svendono in nome della facile convivenza e di un buonismo di maniera,  che troppo impegnati a “rispettare” gli altri non rispettano sé stessi, e lo fanno senza l’indole del martire bensì con la pinguedine dell’ignavo. Poi dobbiamo diffidare da quelle culture, da quelle inciviltà, che calpestano i valori su cui fondiamo il nostro patto sociale, che non rispettano le norme su cui fondiamo i nostri rapporti civili.

Oggi come ieri, più di ieri, dobbiamo conoscere, preservare, diffondere quei valori che non sono solo “nostri”, bensì frutto di una ragione illuminata dalla grazia più che retta dalla cieca fede, di una ragione che preferisce la bellezza all’orrido, di una ragione che esprime le tensioni della mente senza scordare la finezza del cuore.

L’attentato a Parigi contro la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, compiuto da fanatici integralisti islamici, è il segno della nostra sottimissione, il segnale che non possiamo permetterci più un colpevole silenzio su tanti temi: il martirio dei cristiani nei paesi islamici, per esempio, la sottomissione delle donne nella cultura inslamica, l’incapacità di distinguere lo stato laico da quello teocratico.

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