L'Italia è già pronta per andare in guerra,

a sprezzo del ridicolo

di Sergio Soave Italia Oggi, 18.2.2015

Il modo sgangherato con cui diversi esponenti del governo hanno accennato alla possibilità di un'azione militare in Libia, per poi subire una tirata d'orecchi da parte del presidente del consiglio, comportandosi tutti quanti come ospiti di uno dei tanti salotti televisivi invece che come responsabili di scelte meditate e assai impegnative, lascia sconcertati. Anche se non si chiama guerra, perché la retorica costituzionale ci spiega che l'Italia la «ripudia», un'azione militare espone comunque a gravi pericoli migliaia di giovani, apre una fase che si sa, forse, come comincia, ma non si sa come va a finire, quindi non può mai essere presa alla leggera. Si è visto come potenze assai più consistenti, America in testa, anche dopo aver vinto sul campo le guerre di questa epoca, poi restano impelagate nella gestione delle fasi successive senza riuscire a uscirne in modo efficace. Questo non significa che l'opzione militare debba essere esclusa, ma che va studiata e preparata in modo minuzioso e riservato, che le alleanze vanno ricercate in anticipo e senza ridicole rivendicazioni di primati. Barack Obama ha già detto in varie occasioni che all'Italia spetta la guida di una azione volta a rendere controllabile la situazione in Libia; Matteo Renzi, visitando l'Egitto sembrava aver compreso che lì sta la chiave della soluzione possibile. Si sarebbe detto che, per una volta, l'Italia si muovesse con accortezza e senza esibizionismi, come non accadeva più da molti anni (si può dire che l'ultima azione decisiva dell'Italia in questo scacchiere risale all'operazione condotta da Bettino Craxi per insediare Ben Alì al potere in Tunisia superando la nomina a vita di un ormai decrepito Bourghiba). Invece è bastata una delle solite provocazioni del cosiddetto califfato islamico per far abbandonare ai ministri più direttamente interessati lo stile sobrio che sarebbe obbligatorio in queste circostanze.

Intanto una motovedetta italiana impegnata nei soccorsi in mare a profughi naufraghi si è fatta dettare legge dagli scafisti assassini. Niente da dire sul comportamento dei marinai, che non potevano reagire con le armi se questo non era previsto nelle direttive ricevute. Molto da dire, invece, su chi manda in acque infestate da banditi imbarcazioni non sufficientemente protette e armate. Parlare a vanvera di guerra da una parte e poi non saper rispondere al fuoco di banditi che ci attaccano espone l'Italia al ridicolo, immeritatamente proprio per il coraggio e la professionalità con cui le nostre forze armate stanno conducendo missioni di soccorso o di interposizione in vari scacchieri anche assai delicati.

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