Senato: l'intesa di Maroni con il Pdl sulle riforme

Prove tecniche d’intesa tra Lega e Pdl. Per adesso sulle riforme istituzionali,

ma il dialogo potrebbe continuare anche sul fronte squisitamente politico. Con l’obiettivo di dar vita di nuovo a una grande coalizione di centrodestra alle prossime elezioni. INDIZI DI AVVICINAMENTO. Un primo indizio si è avuto in Senato, dove è cominciato l’esame della riforma costituzionale che vede, tra i punti principali, l’elezione diretta del presidente della Repubblica (proposta dal Pdl), il Senato federale (proposto dalla Lega), il superamento del bicameralismo perfetto, una nuova legge elettorale e la riduzione del numero dei parlamentari.

IL BLITZ DEGLI EX ALLEATI. Ed è proprio su questo punto, l’articolo 1, che prevede il taglio al numero dei deputati, che il 20 giugno il partito di Angelino Alfano e quello di Roberto Maroni hanno agito insieme per accantonarlo.

 Scatenando la protesta delle opposizioni. «Parlano di Casta e poi quando c’è da tagliare il numero dei parlamentari si oppongono», ha sbottato Luigi Li Gotti dell’Idv.

LO SCAMBIO PRIMA DEL VOTO. In realtà la questione è più complessa. E riguarda proprio l’accordo che Pdl e Lega hanno raggiunto in queste ore sulle riforme. Sfumato il «sì» del Pd, infatti, è il Carroccio che ora potrebbe dare il via libera al semipresidenzialismo a doppio turno alla francese lanciato da Silvio Berlusconi e Alfano. In cambio, però, Maroni ha chiesto e ottenuto il via libera al Senato federale (che nel 2005 è stato bocciato dal referendum confermativo sulla devolution di Calderoli).

PD: «RITORNA IL VECCHIO ASSE». «L’accordo è stato fatto. E sulle riforme andrà in scena la vecchia maggioranza tra Pdl e Lega», ha detto a Lettera43.it il senatore democratico Stefano Ceccanti. Mentre il collega di partito Luigi Zanda ha parlato apertamente di «baratto» tra le due forze politiche.

LA GUERRA DEI DEMOCRATICI. Il Pd è pronto a dare battaglia. Con il governo Monti alla finestra in trepidante attesa, se le riforme si concludessero con l’elezione diretta del capo dello Stato e il Senato federale, pur di non farle approvare Pier Luigi Bersani potrebbe decidere di staccare la spina al governo.

 La difesa del Pdl: «Slittamento dovuto a questioni tecniche»

Il primo indizio dell’accordo tra ex alleati si è avuto subito, sull’articolo 1. «Qui si stabilisce la riduzione dei deputati, ma votarlo avrebbe significato ingabbiare la discussione successiva. Così si è deciso di prendere in esame prima l’articolo 2, quello sul Senato federale», ha spiegato il senatore pidiellino Pier Francesco Gamba. «Una volta stabilito questo, si potrà decidere anche quanti parlamentari tagliare a Montecitorio e Palazzo Madama. È una questione tecnica e chi dice che non vogliamo ridurre i posti è in malafede o lo fa in modo strumentale».

LA TRATTATIVA DI LA RUSSA. Nel frattempo l’accordo tra Pdl e Lega ha preso forma: la trattativa è stata condotta direttamente da Ignazio La Russa insieme con lo stato maggiore del Carroccio. E sul tema ci sarebbe stata anche una telefonata tra Alfano e Maroni.

 Resta ancora da chiarire, però, come verrà eletto il Senato federale: la Lega, infatti, lo vorrebbe sul modello dei Bundesrat tedeschi, cioè una Camera dei territori con i componenti scelti dalle Regioni. Mentre il Pdl preferisce l’elezione diretta.

«L'IMPORTANTE È AVERE UN ACCORDO COMUNE». «Ma questi particolari non sono un problema, l’importante è avere in tasca un accordo di massima e aver stabilito un percorso comune», hanno assicurato i senatori pidiellini.

 Comunque, se la pianta delle riforme dovesse dare i suoi frutti, sarebbe un buon viatico per riprendere il rapporto tra i due partiti anche sul fronte delle alleanze.

UN DIALOGO MAI INTERROTTO. A livello locale (in molte amministrazioni sono al governo insieme) e tra i peones in parlamento, del resto, i rapporti tra pidiellini e leghisti non si sono mai interrotti del tutto. E il dialogo potrebbe ricominciare su orizzonti più ampi non appena il governo Monti si avvierà verso la conclusione del suo mandato.

L'INCOGNITA DEL CONGRESSO. Molto, naturalmente, dipenderà dal congresso della Lega che incoronerà - salvo colpi di scena - segretario Maroni. Nelle sue parole davanti all'assise lumbard, infatti, si capirà se il Carroccio vorrà ritirarsi nella riserva padana sopra il Po - senza nemmeno partecipare alle politiche - oppure se Bobo guarda ancora a Roma.

 I bookmaker politici sono pronti a scommettere sulla seconda ipotesi. Anche se non si può escludere nemmeno la corsa solitaria.

 Molto dipenderà dalla legge elettorale e dalle riforme. Su cui, per l’appunto, Alfano e Maroni hanno deciso per ora di camminare insieme.

Lettera 43 - Mercoledì, 20 Giugno 2012

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