Da genitori di gay diciamo no alle coppie di fatto

Egregio Sindaco Pisapia, Milano, memori della sua genti­le visita al nostro stand in

occasione dei Giorni del Volontariato al Palazzo delle Stelline, desideriamo, come geni­tori di figli omosessuali, esprimere il nostro apprezzamento per la sua Amministrazione che intende adoperarsi a favore di una maggiore inclusione delle persone omosessuali nella società civile e per la rimozione di ogni forma di loro di­scriminazione. In particolare apprezziamo il progetto di istituire un osservatorio delle discriminazioni che dovrebbe monitorare gli atti ostili nei confronti delle persone omosessuali, così come i casi di mancato rispetto dei diritti dei conviventi già oggi previsti dalla legge, tra cui la visita al convivente all’ospedale, la successione al contratto di locazione, la cointestazione delle polizze vita e altri. Tuttavia restiamo molto perplessi di fronte all’intenzione della sua amministrazione di applicare, in tema di politiche sociali e a livello simbolico, un trattamento uniforme a realtà sociali profondamente diverse tra di loro, sia sotto il profilo della rilevanza sociale ed economica sia per la natura della relazione stessa. Non crediamo cioè che una politica di equiparazione della famiglia comune, aperta ai figli, definita negli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione italiana, alle convivenze omosessuali sia di aiuto per i nostri figli omosessuali. Il messaggio che ne deriva infatti è quello secondo cui «la relazione tra due uguali è uguale a quella tra due differenti», vale come a dire che A + A = A + B. Ciò non è veritiero e ciò che non è vero non può essere buono. Equiparare due realtà relazionali differenti tra di loro significa negare la rilevanza della differenza sessuale tra uomo e donna ma, come dice L. Irigary, filosofa, grande rappresentante del femminismo europeo, «la natura è due: uomo e donna». La differenza dei sessi non è soltanto un valore per la società, ma anche elemento fondamentale per la vita di coppia. Far credere che questa differenza sia irrilevante crea confusione e rischia di spingere i nostri figli verso grandi delusioni e comportamenti spesso autolesionisti. Crediamo che non si otterrà il superamento dell’omofobia attraverso gli omissis o la banalizzazione della stessa omosessualità all’insegna del «tutto uguale». Infatti, in nessuna delle società del mondo occidentale che ha promosso unioni civili e matrimo­ni gay, la condizione di vita degli omosessuali è divenuta migliore. Questo lo si può facilmente appurare sul campo o leggendo, ad esempio, i dati sanitari disponibili. L’omosessualità non è certamente da considerarsi una patologia, tuttavia in nessuna fase della storia e in nessuna civiltà, è mai esistita la famiglia gay, neanche in epoche in cui la pratica omosessuale godeva di alto prestigio sociale, come quella tardo romana. Equiparare ora la relazione omosessuale alla famiglia comune rischia di far apparire l’intera storia umana come grande complotto contro l’omosessualità e, peggio, contro le persone omosessuali stesse, creando con questa distorsione della realtà ulteriore disagio nei nostri figli.I 10 – 15 anni di esperienza con i registri delle unioni civili in 80 Comuni italiani, là dove sono stati istituti, hanno dimostrato che questi non rispondono a nessun reale bisogno sociale. Di fatto il numero delle convivenze iscritte nei relativi registri è irrisorio. Sarebbe paradossale se ora il Comune di Milano intendesse operare una scelta basata su un concetto di Equality, di uguaglianza che confonde la giustizia sociale con la negazione della valenza della differenza sessuale,  negazione che trae in inganno e penalizza, ancora una volta, in particolare i nostri figli omosessuali.

 La presente lettera è stata condivisa nell’ambito dell’ultima assemblea generale del Forum Milanese delle Associazioni Fa­miliare, di cui AGAPO fa parte. Riceviamo e pubblichiamo – 19.7.2012

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata