Mori e Obinu non agevolarono Provenzano e sulla Trattativa non ci sono prove, dicono i giudici

Depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d'Appello nel maggio scorsodi Redazione | 15 Novembre 2016 ore 18:53 Foglio

"Deve ritenersi confermato che le contestate e pur sussistenti condotte degli imputati non sono idonee a dimostrare, essendo prive di univoco significato probatorio, che i predetti abbiano agito con la coscienza e la volontà di favorire il latitante Bernardo Provenzano ostacolandone la cattura". E' quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento nei confronti del boss Bernardo Provenzano. La sentenza è stata emessa lo scorso 19 maggio dalla Corte d'appello di Palermo, presieduta da Salvatore Di Vitale.

I due ufficiali, assolti sia in primo sia in secondo grado, in appello erano accusati di favoreggiamento non più aggravato dall'avere agevolato la mafia e finalizzato al perseguimento della trattativa, ma solo dall'avere agito violando i doveri connessi alla loro funzione. "Tenteremo di semplificare - aveva detto Scarpinato in requisitoria - e di ridare al processo quella vita autonoma che, renderlo una costola del processo trattativa, gli aveva tolto". Adesso le motivazioni della Corte d'appello che hanno bocciato l'impianto accusatorio della procura generale.

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"Nel caso in esame la mancata acquisizione di una siffatta prova non consente di ritenere accertata l'esistenza del movente ipotizzato dall'accusa", scrive il Presidente Salvatore Di Vitale. "Il collegio ritiene che non risulti dimostrata la sussistenza in capo agli imputati dell'elemento soggettivo della contestata condotta di favoreggiamento, dunque si impone la conferma della sentenza impugnata", spiegano i giudici della Corte d'appello che hanno scritto la sentenza a sei mani.

"Nel caso in esame, la mancata acquisizione di una siffatta prova non consente i ritenere accertata l'esistenza del movente originale ipotizzato dalla pubblica accusa - scrivono i tre giudici - Del resto, lo stesso Pg nel corso della sua requisitoria ha finito con il fare riferimento a un 'ventaglio di moventi' non riconducibili unicamente alla cosiddetta trattativa e che potrebbero rintracciarsi nella errata convinzione che Mori riguardo ai rapporti che la Polizia giudiziaria deve instaurare con il pubblico ministero, piuttosto che nelle inclinazioni da Mori a operare con metodi propri dei Servizi segreti e di quelli deviati in particolare, ovvero nei rapporti dello stesso Mori con ambienti politici, partitici e massoni". E ancora: "Tuttavia, siffatti moventi, lungi dall'essere suffragati dalle prove rigorose che sarebbero state necessarie in questa sede, si risolvono in mere ipotesi".

Decidendo di rinunciare all'aggravante mafiosa e a quella della trattativa, stravolgendo in questo modo completamente l'impianto accusatorio "il Pg ha implicitamente riconosciuto che il compendio probatorio è insufficiente a dimostrare, con il requisito di certezza del processo penale, la sussistenza della suddetta trattativa e quindi delle relative aggravanti così sostanzialmente condividendo le conclusioni cui è giunto sul punto il tribunale con la sentenza impugnata".

Il procuratore generale Roberto Scarpinato e il pg Luigi Patronaggio, prima della requisitoria, avevano annunciato di volere rinunciare all'aggravante mafiosa e a quella della trattativa stravolgendo l'impostazione accusatoria voluta dai colleghi della procura che vedevano nella mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, fatto fuggire dal Ros di Mario Mori, uno dei tasselli del patto che pezzi dello stato avrebbero stretto con Cosa nostra negli anni delle stragi mafiose.

Categoria Giustizia

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