Due o tre cose su Andreotti spiegate al Fatto Quotidiano, Pif e Caselli

Sugli incontri con Bontate e sulle condanne dell'ex leader Dc il giornale di Travaglio, il pm e il regista della fiction “La mafia uccide solo d'estate” fanno prevalere la verità “storica” su quella processuale

di Maurizio Crippa 13 Maggio www.ilfoglio.it

Nel 2000 il Fatto Quotidiano era di là dal nascere, Pierfrancesco Diliberto studiava da autore Mediaset e la lunga e virulenta battaglia dell’antimafia delle gazzette era guidata da Repubblica. La quale non aveva più lacrime da versare, quando Giulio Andreotti fu assolto in primo grado a Palermo anche perché – tra le altre cose – non c’erano prove dei due famosi (fumosi) incontri con Stefano Bontate: “Per i giudici non basta dimostrare, come hanno fatto i pm, che non tutti i viaggi di Andreotti non lasciano tracce. Bisognava invece dimostrare che in quelle due occasioni di incontro con Bontate, Andreotti sia venuto effettivamente a Palermo”, piangeva Rep. Ma tu pensa: bisognava dimostrarlo. Invece “alle parole dei pentiti non sono seguiti riscontri certi” e a Repubblica non restava che titolare amaramente: “Andreotti, l’unica prova certa… è la bugia sui Salvo”.

Poi c’è stato il processo d’Appello, che nel maggio 2003 conferma la sentenza di assoluzione per Giulio Andreotti dall’accusa di associazione mafiosa, introducendo però alcune sostanziali modifiche interpretative: tra cui la responsabilità di rapporti organici con la mafia prima del 1980 (l’associazione mafiosa come fattispecie allora non esisteva), reato prescritto. Poi c’è stata la sentenza di Cassazione del 2004, che ha confermato l’assoluzione.

Poi arriva La mafia uccide solo d’estate, il cui Pierfrancesco Diliberto nome in codice Pif addebita iconicamente (dunque icasticamente) l’omicidio di Piersanti Mattarella ad Anderotti, e un articolo del Fatto di questa mattina, 13 maggio, in cui si scrive testualmente e senza ritegno che Andreotti è stato “condannato in Corte d’Appello e in Cassazione”. Non è una fake news, è una menzogna.

Alla base di questo rigurgito domenicale dell’antimafiosità militante c’è una rubrichina del Foglio in cui si è stigmatizzato il fatto che, nella fiction Rai, Pif dica, senza dubitativi, che Andreotti incontrò Bontate. Inoltre (nella rubrica di sabato non si aveva avuto modo di segnarlo) gli sceneggiatori di Pif fanno seguire alla sequenza che ricostruisce l’omicidio Mattarella l’immagine di una sagoma di Andreotti, di spalle e di tre quarti, in penombra, la gobba e gli occhiali – molta fantasia eh, un corso di regia a Netflix, mai? – che per lo spettatore significa, secondo la legge dei cani di Pavlov che dovrebbe essere nota persino a Pif, che Andreotti fu il mandante dell’omicidio. Peccato che Andreotti non fu condannato come mandante dell’omicidio di Piersanti Mattarella. E’ normale che una fiction trasmessa da servizio pubblico lo suggerisca, anzi affermi (Pavlov) impunemente? In più, c’è anche l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli che nella stessa pagina del quotidiano di Travaglio, o forse è di Pif, non sapremmo dire, rincara la dose contro il Foglio.

Alla base di tutto questo c’è appunto Caselli, non Pif, che lasceremo d’ora in poi in pace. Anzi c’è il “casellismo”, cioè la ormai pluriennale battaglia dell’ex magistrato per negare la realtà della sentenza del processo per cui si è impegnato per una vita (Andreotti assolto) e affermare invece che sia stato condannato (prescritto, non significa condannato). La verità “storica” che prevale sulla verità processuale (quando fa comodo) è probabilmente il peggiore danno che l’antimafia militante dei pm e dei giornali abbiano fatto alla civiltà giuridica e all’Italia in quanto tale. Caselli scrive che c’è un “ostinato negazionismo” in chi sottolinea che Andreotti è stato assolto. Invece è stato assolto. Se vuole fare lo storico, o il romanziere, può ricostruire il passato come vuole. Ma se si parla di una sentenza, in cui ha perso la sua partita, dovrebbe evitare.

Ma il punto, per il Foglio di sabato, era semplicemente un altro. Sono gli incontri con Bontate. La prima sentenza su Andreotti aveva giudicato che il primo non fosse mai avvenuto, e del secondo non vi è prova o riscontro. L’Appello, in decine e decine di pagine, ha stabilito che, soprattutto per il secondo, possa essere ritenuto attendibile, per una serie di passaggi induttivo-deduttivi, il pentito Mannoia che è l’unico, l’unico, ad accusare Andreotti per quegli incontri. Sul Fatto, Caselli con furbizia evita di parlare del primo “incontro” smentito, accenna solo al secondo e lo dà per sicuro come il giorno del Giudizio sulla base delle Parole di “Francesco Marino Mannoia, sul quale mai nessuno h mai potuto avanzare riserve di sorta”. La sentenza di Cassazione, nel suo riepilogo finale, usa invece così tanti dubitativi e cautelativi giuridici che sono sufficienti a far capire – quantomeno – una cosa: che Andreotti è stato giudicato responsabile di quanto addebitatogli prima del 1980 a prescindere dal fatto che abbia mai incontrato Bontate.

Il problema, per tornare alla dimensione pop, è però un altro. Ed è che la fiction Rai La mafia uccide solo d’estate per una comprensibile, ma non giustificabile, scelta ha deciso di basare la sua ricostruzione storica sul “teorema Caselli”, quello per cui Andreotti è stato condannato (invece no) e ha incontrato Bontate (invece, quantomeno, boh). E questa è una brutta cosa. Persone informate dei fatti.

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