Le linee-guida del Csm per dire basta alla gogna mediatica

Ciò che spicca dal testo varato dalla Settima commissione è il richiamo netto al dovere di assicurare il rispetto della presunzione di innocenza

di Ermes Antonucci 21 Giugno 2018 alle 12:08www.ilfoglio.it

Roma. Stop alla gogna mediatica, alla colpevolizzazione delle persone indagate, a una stampa ridotta a svolgere la funzione di passacarte delle procure, e al protagonismo dei pubblici ministeri intenti a esaltare le proprie indagini. Sono questi gli obiettivi delle linee-guida che il Consiglio superiore della magistratura si appresta a varare per disciplinare i rapporti tra magistrati e organi di informazione. Il testo – che il Foglio ha potuto consultare – è stato approvato dalla Settima commissione e approderà ora al plenum dell’organo di autogoverno della magistratura.

Il testo individua, innanzitutto, la figura del “responsabile per la comunicazione”, nella persona del capo della procura o dell’ufficio giudicante. Spetta esclusivamente a lui il compito di relazionarsi con gli organi di stampa, ad esempio per “correggere informazioni e interpretazioni errate e dannose per l’efficacia delle indagini o per la tutela dei diritti delle persone coinvolte, nonché quelle a tutela dell’immagine di indipendenza, imparzialità e correttezza dell’ufficio”. Stop, dunque, ai sostituti procuratori o ai procuratori aggiunti che, spesso con l’intento di sfruttare il trampolino mediatico legato al coinvolgimento alle proprie indagini di personalità di rilievo pubblico, organizzano conferenze stampa-show per decantare le virtù del proprio lavoro.

Ma importanti novità sono previste anche e soprattutto per quanto riguarda il contenuto delle comunicazioni. Il documento, di cui sono relatori Claudio Galoppi, Nicola Clivio e Renato Balduzzi, stabilisce che “la comunicazione degli uffici giudiziari deve essere obiettiva, sia che provenga da tribunali o corti sia che provenga da uffici di procura”. Inoltre, viene precisato che “la presentazione del contenuto di un’accusa deve essere imparziale, equilibrata e misurata, non meno della presentazione di una decisione giurisdizionale”. In questa prospettiva “vanno evitate la discriminazione tra giornalisti o testate, la costruzione e il mantenimento di canali informativi privilegiati con esponenti dell’informazione, la personalizzazione delle informazioni, l’espressione di opinioni personali o giudizi di valore su persone o eventi, mentre è auspicabile la riflessione interna agli uffici giudiziari, mediante riunioni sia preparatorie dei momenti di comunicazione sia di valutazione degli effetti”.

Ma ciò che, più di ogni altra cosa, spicca dal testo varato dalla Settima commissione è il richiamo netto al dovere di assicurare il rispetto della presunzione di innocenza: “Va evitata, tanto più quando i fatti sono di particolare complessità o la loro ricostruzione è affidata ad un ragionamento indiziario, ogni rappresentazione delle indagini idonea a determinare nel pubblico la convinzione della colpevolezza delle persone indagate”.

Nelle linee-guida, poi, si richiama al rispetto di altri princìpi fondamentali: “La chiarezza nella distinzione di ruoli (tra magistratura requirente e giudicante)”, “la centralità del giudicato rispetto agli altri snodi processuali (indagini preliminari, misure cautelari, rinvio a giudizio, requisitorie e arringhe)”, “il diritto dell’imputato di non apprendere dalla stampa quanto dovrebbe essergli comunicato preventivamente in via formale”, “il dovere del pubblico ministero di rispettare le decisioni giudiziarie, contrastandole non nella comunicazione pubblica bensì nelle sedi processuali proprie e, specificamente, con le impugnazioni”.

 

Si conclude con un invito per i magistrati a rilasciare interviste “con equilibrio e misura” e con il riconoscimento al procuratore capo del compito di assicurare l’osservanza di tutti questi criteri anche da parte della polizia giudiziaria.

Misure che possono rivoluzionare in positivo il rapporto, ormai degenerato, tra stampa e magistratura, nella speranza comunque che l’organo di autogoverno delle toghe verifichi con rigore il loro rispetto da parte delle altre toghe. E il problema, forse, è tutto lì.

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