Cannibalismo. L’impossibile riforma della giustizia e la destituzione dello Stato di diritto

È evidente che la magistratura abbia marciato sulle carenze del nostro sistema giuridico, ma non è il punto d’origine di questo sfacelo

Iuri Maria Prado 1.11.2022 linkiesta.it lettura2’

Chi si domandasse per quale motivo in Italia è tanto difficile mettere in campo una qualsiasi, seria riforma dell’amministrazione della giustizia, troppo facilmente concluderebbe che a opporvisi e a renderla impossibile è la prepotenza di un mandarinato giudiziario capace di intimidire e ricattare il legislatore riformatore.

Non che questa componente non esista e non abbia efficacia inibitoria, ma la realtà è che quel movimento di interferenza e reazionario sarebbe insufficiente a raggiungere l’obiettivo se non potesse contare su una temperie di disfacimento dello Stato di diritto che vede nel potere giudiziario l’utilizzatore finale, non il motore primigenio.

Un capannello togato che richiama le televisioni per protestare contro l’infamia di una legge sgradita resterebbe quel che è, un disinvolto e solo potenzialmente pericoloso conato di insulto alla legalità repubblicana, se il proclama ribellista che ne viene non ridondasse nel festoso riscontro presso l’informazione e l’opinione pubblica ben disposte ad accreditarne i meriti moralizzatori.

Un leader di procura che si mette a disposizione del presidente della Repubblica in caso di chiamata, come il colonnello in fregola nell’attesa della formazione della junta, rimarrebbe quel che è, un impertinente con poca cautela e molta boria, se non finisse magnificato in eternità equestre sul magazine del primo quotidiano d’Italia.

Un pubblico ministero che indugia sui sensi di colpa dell’indagato che si toglie la vita apparterrebbe al rango meritato, quello di un malvissuto cui non dovrebbe essere consentito di far giustizia sui propri simili, se le sue parole non fossero l’eco della turba che reclama le vie spicce per i corrotti.

La realtà è che la destituzione dello Stato di diritto è avvenuta per cannibalizzazione, e a spacciare il succedaneo non è stata solo la magistratura, anzi questa ha preso semplicemente (non vuol dire incolpevolmente) a valersi di quel prodotto confezionato e reso commerciabile da altri: anche per perpetuare il proprio potere, certo, ma in un clima di acquiescenza quando non di istigazione che rimanda a responsabilità ben più vaste e implicanti.

La verità è che è scritta in italiano comune, non in vernacolo giudiziario, la condanna a morte dello Stato di diritto. E le mancate riforme sono la pena accessoria di quella sentenza, un corollario sottoscritto da molti.

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