Gaetano Pecorella: “Perché bisogna dire no all’Appello del pm”

«Sono convinto che né il rito davanti al tribunale, né la gravità del reato, possono giustificare un limite, ed una differenziazione, dell’appello del P.M. rispetto alle sentenze di assoluzione»

Eriberto Rosso - avvocato penalista — 5 Febbraio 2024 ilriformista.it

Il Prof. Gaetano Pecorella, avvocato penalista, a lungo parlamentare della Repubblica, Past-President UCPI, è il padre dell’omonima legge sulla inappellabilità delle sentenze di assoluzione, fermata dalla Corte costituzionale nel 2007.

Ragionevole dubbio e impossibilità di un secondo grado di giudizio di merito per chi, assolto in primo grado venga poi condannato in appello sono ragioni fondamentali per l’abrogazione dell’appello del P.M.

«In effetti la inappellabilità da parte del P.M. delle sentenze assolutorie non solo ha un fondamento politico-costituzionale, ma anche una ragione di natura logica, piuttosto evidente: se un tribunale ha ritenuto di assolvere l’imputato per il principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio”, dopo un dibattimento, ascoltando direttamente testimoni, periti, lo stesso imputato, come un altro giudice, leggendo i verbali, e quindi in assenza di un contatto diretto con la realtà, possa superare la mancanza di prove, e quindi il dubbio che è nelle carte del processo? Non per nulla la inappellabilità fu approvata dal Parlamento in un testo di legge che includeva il principio del ragionevole dubbio. Naturalmente la inappellabilità è legata al mantenimento dello stesso ambito probatorio, ragion per cui, se vi fossero nuove emergenze probatorie, si aprirebbe un diverso discorso. Un ulteriore motivo che giustifica la inappellabilità delle sentenze di assoluzione, e che non fu considerato dalla Corte costituzionale, è il rispetto che l’ordinamento giuridico della Repubblica deve al diritto internazionale generalmente riconosciuto: l’art. 14, par. 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici precisa che: «ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge». È di tutta evidenza che nell’ipotesi di riforma della sentenza di assoluzione in grado di appello l’imputato sarebbe privo del diritto fondamentale di un secondo grado di giudizio nel merito».

La pronuncia della Consulta del 2007, a cui hai accennato, non pare in linea con il processo accusatorio.

«In realtà la sentenza della Corte costituzionale contiene un errore di metodo ricavando la parità tra accusa e difesa, con riferimento ai diritti nel processo, dall’art. 111 Cost. che ha tutt’altro oggetto. La Corte ha riconosciuto che il principio di parità tra accusa e difesa ex art. 111 non comporta necessariamente l’identità dei poteri processuali del P.M. e del difensore dell’imputato: sennonché le alterazioni di tale simmetria debbono trovare una adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del P.M., e nei limiti della ragionevolezza. Sennonché l’art. 111 della Costituzione non fa riferimento ad una generica parità delle parti, bensì afferma la parità con riguardo specificamente al contraddittorio e al diritto alla prova. Poco ragionevole sarebbe stato introdurre un principio di parità con riferimento ai diritti delle parti in una Costituzione che definisce chiaramente i diritti-doveri del P.M. e le funzioni del difensore: si tratta di posizioni così lontane tra loro che non avrebbe potuto porsi un problema di parità rispetto a P.M. e difensore. La verità è che la Corte, per motivi di politica giudiziaria, si era proposta di restituire al P.M. la facoltà di impugnare le sentenze di assoluzione, e così ha negato i numerosi precedenti secondo cui non può valere il principio di uguaglianza tra chi accusa e chi difende (v. ad es. il principio di soccombenza)».

Oggi il disegno governativo ripropone la abrogazione dell’appello d’accusa, solo però per le assoluzioni dai reati a citazione diretta. Ritieni che la limitazione abbia un senso? E ancora, ritieni che all’eventuale abrogazione dell’appello del Pubblico ministero possa corrispondere una qualche limitazione alle impugnazioni della difesa?

«Sono convinto che né il rito davanti al tribunale, né la gravità del reato, possono giustificare un limite, ed una differenziazione, dell’appello del P.M. rispetto alle sentenze di assoluzione. Le ragioni che giustificano l’abrogazione dell’appello dell’accusa valgono allo stesso modo per qualunque tipo di processo e di reato».

Tutti i problemi nascono dall’abbandono, per via giurisprudenziale, del principio del favor impugnationis…

«Le recenti riforme, approvate o in discussione, hanno un solo obiettivo: ridurre drasticamente i tempi del processo: ciò è cosa buona, ma è un criterio secondario rispetto a quello primario del processo giusto. È diritto di ogni uomo un secondo giudizio di merito, e quindi la possibilità dell’appello in caso di condanna».

Prerogative diverse per accusa e difesa sono garanzie di equilibrio per la realizzazione del contraddittorio. Ritieni che le ragioni addotte dalla Corte costituzionale nel 2007 potrebbero oggi trovare una diversa sintesi?

«Non sarebbe la prima volta che la Corte costituzionale ha mutato orientamento nel corso del tempo: ciò potrebbe accadere anche rispetto ad una legge che alla fine riduce il numero dei procedimenti pendenti riaffermando la supremazia del giudizio orale e in contraddittorio. Si tratta, però, di una questione politica che vede il Parlamento troppo spesso subordinato alle posizioni dei P.M.: tant’è che mentre la Commissione Lattanzi aveva riproposto la inappellabilità delle sentenze assolutorie, il ministro ha messo questa riforma nel cassetto».

Eriberto Rosso - avvocato penalista

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