L'autodichia della magistratura. Come funziona il procedimento disciplinare dei magistrati dove l’eletto giudica il suo elettore

cresce l’allarme mentre sembra avvicinarsi, finalmente con qualche prospettiva di concretezza, la riforma costituzionale della separazione delle carriere

Gian Domenico Caiazza 16.12. 2024 alle 09:02 ilriformista.it let2'

Ben più di venti anni fa sono stato Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma, carica acquisita all’esito di una campagna elettorale da far impallidire quella per la Presidenza degli Stati Uniti. Liste in lotta feroce – per mesi! – fino all’ultimo voto, cene, aperitivi, incontri, eventi: un massacro. Della giustizia disciplinare, che allora era affidata a noi ed era senza alcun dubbio l’attività di più significativo rilievo, ho un ricordo tutt’altro che felice. Le pressioni erano quotidiane e costanti non appena ti veniva assegnata la pratica da istruire, ed erano inevitabilmente cambiali elettorali, dirette o indirette, sollecitazioni amicali e professionali spesso difficili da gestire. Ed anche quando ti determinavi a resistere, quelle interferenze si riproponevano decuplicate in sede di giudizio collegiale. Insomma, un calvario.

L’autodichìa della magistratura

Un passo avanti importante è stata perciò la riforma che ha assegnato ad un organismo esterno, per di più distrettuale (dunque non più del medesimo Foro), l’esercizio del potere disciplinare, che ora immagino sarà meno problematico governare nel rispetto delle regole minime della imparzialità. La magistratura italiana non tollera, invece, che si metta in discussione la propria autodichìa. Come a dire: siamo giudici di professione, vorreste insinuare che non siamo capaci di essere giudici di noi stessi?

Come sono eletti i giudici disciplinari

I giudici disciplinari sono eletti, per di più secondo appartenenza correntizia, e sono chiamati a giudicare i propri elettori, o gli elettori delle correnti avverse, ma ci vogliono convincere che questo sia il migliore dei sistemi, sempre – immancabilmente – a tutela e garanzia della indipendenza della Magistratura. C’ è una impressionante dose di autoreferenzialità in questo ragionamento, e non è certo una novità per la magistratura italiana; ma soprattutto, c’è la volontà di mantenere a sé uno strumento di potere obiettivamente enorme, che si fatica ad immaginare esercitato al di fuori degli equilibri correntizi delle toghe.

Ed infatti cresce l’allarme mentre sembra avvicinarsi, finalmente con qualche prospettiva di concretezza, la riforma costituzionale della separazione delle carriere, che porta con sé altre due bombe atomiche: il sorteggio in luogo della elezione del componenti togati del Consiglio (ipotesi che ci lascia largamente perplessi, in verità, salvo a rimediare con un sorteggio di secondo grado), e la costituzione di un organismo esterno a composizione mista, questa Alta Corte disciplinare che dunque sottrarrebbe del tutto ai consiglieri di Palazzo dei Marescialli il potere di giudicare il corretto operare dei propri colleghi.

Il parere di due magistrati

PQM questa settimana si è posta l’obiettivo di indagare questo tema senza pregiudizi, e perciò dando ampio spazio a due magistrati che esercitano spesso il delicato ruolo di difensori dei loro colleghi incolpati. È un punto di vista di grande interesse, che arricchisce il dibattito sulla questione, aggiungendo un profilo di non minore rilievo: quanto siano effettivi i diritti e le garanzie nella difesa dell’incolpato davanti al CSM. Perché una cosa è certa: gli arbìtri della giurisdizione, ordinaria o disciplinare che sia, in tanto sono possibili, in quanto il rigore delle regole di garanzia a presidio della difesa (dell’imputato come dell’incolpato) sia attenuato, svilito o reso incerto.

Recenti, clamorose vicende disciplinari in seno al CSM – che inevitabilmente echeggiano in quelle due interviste – lo hanno a nostro avviso dimostrato in maniera lampante.

D’altronde, cos’altro vi aspettate da PQM, rivista pensata e realizzata da un bel manipolo di avvocati penalisti, se non ribadire fino a perdere il fiato che, laddove il diritto di difesa è messo in crisi, lì regna l’arbitrio, lì perdiamo tutti una grande parte della nostra libertà? Buona lettura! (Perché, credetemi, ne vale davvero la pena).

Gian Domenico Caiazza Avvocato

Commenti   

#1 walter 2024-12-17 13:31
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