Renzi non può ignorare il metodo Woodcock applicato

a D’Alema.L’arresto del sindaco di Ischia, le nuove intercettazioni a strascico, la sfera privata violata e quelle indagini flop

di Redazione | 31 Marzo 2015 ore 06:17 Foglio

Roma. Si fosse trattato del solo sindaco di Ischia forse le prime pagine dei giornali non se ne sarebbero accorte, dunque, ecco il nome di Massimo D’Alema, non indagato ma buttato lì un po’ a caso, a brillare: una cooperativa rossa su cui i magistrati di Napoli stanno indagando ha finanziato la sua fondazione, ItalianiEuropei, ha comprato qualche centinaia di copie del suo libro, e in tre anni ha acquistato duemila bottiglie del suo vino. Nessun reato. Titolano il sito del Tempo, di Repubblica Napoli, dell’Agi, di Rainews: “Scandalo coop rosse, spunta D’Alema”. E alle 13 di ieri, dall’account Twitter del quotidiano torinese la Stampa, parte questo messaggino: “Scandalo Coop rosse, spunta il nome di D’Alema e del clan dei casalesi”. Un onorevole accostamento.

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 Il responsabile delle intercettazioni finite oggi sui giornali, a corredo di un’inchiesta che con D’Alema ha poco a che fare, è il pm di Napoli Henry John Woodcock, il pm vagante, vecchia gloria dei rotocalchi, il pm generoso che da anni permette agli appassionati di godersi magnifiche intercettazioni su vip e semivip dello spettacolo e della politica: tronisti, playboy da telecamera, ragazze ambiziose, calciatori, ministri, vallette, fotografi, giornalisti… Senza paura e senza misura, il pm vagante non si lascia scoraggiare da nessun ostacolo, da nessun pericolo, da nessun eccesso. Lavora certamente per la giustizia, ma a volte anche per i giornali e per le tivù. E infatti Woodcock ha una spiccata passione per i grandi nomi – fece finire in galera Vittorio Emanuele di Savoia (poi prosciolto da ogni accusa) – e per i grandi numeri. Una delle sue inchieste più famose (settemila pagine dal titolo “Il mercato delle nomine”) comprendeva settantasei indagati, di cui quarantasette secondo lui da arrestare, e oltre 1.200 intercettazioni. Senza parlare della lista dei nomi coinvolti, una cosa a metà tra la guida Monaci e “l’Isola dei famosi”: c’erano l’allora presidente del Perugia Luciano Gaucci, la giornalista Rai Anna La Rosa, Tony Renis, Flavio Briatore, l’ambasciatore Umberto Vattani, Massimo D’Antona, Nicola Latorre e persino Franco Marini, assieme a Maurizio Gasparri e Antonio Marzano (che a quel tempo, nel 2003, erano ministri). Come finì? Finì che il gip si rifiutò di firmare persino gli ordini di cattura. Finì che i membri del governo furono prosciolti dal Tribunale dei ministri, e le accuse caddero anche per tutti gli altri. Il gip, dopo aver respinto la richiesta di custodia cautelare, dichiarò la sua incompetenza territoriale girando le carte a Roma, che le archiviò facendo a pezzi l’impianto accusatorio di Woodcock. Più o meno quanto accadde pure con la notissima inchiesta di Vallettopoli (ventiquattro persone coinvolte, tra cui il portavoce di Gianfranco Fini, tredici arresti, migliaia d’intercettazioni, e poi anche qui il fascicolo inviato a Como per incopetenza territoriale e seguente archiviazione).

D’altra parte il pm vagante non delude mai. Nel 2004, con l’inchiesta “Iena 2”, fece arrestare la bellezza di cinquantuno persone, tutti pezzi grossi del Consiglio regionale della Basilicata, tutti poi scarcerati dal Tribunale del riesame. Nel 2010 fece particolarmente scalpore quando Woodcock iscrisse nel registro degli indagati, con l’accusa di “violenza privata”, Alessandro Sallusti (prosciolto) e Nicola Porro (a processo), direttore e vicedirettore del Giornale. Furono anche sottoposti a perquisizione, e la Federazione della stampa protestò vivacemente. E l’origine di quell’indagine, come di quasi tutte le altre, e come nel caso di D’Alema oggi, è il cosiddetto sistema delle intercettazioni a strascico, come nella pesca: da un’intercettazione casuale se ne possono ordinare altre, poi quando si è raccolto un dossier corposo, in assenza di ogni diritto alla difesa e con una costante penetrazione nella sfera privata, gli elementi più piccanti della storia finiscono sui giornali. E non è nemmeno necessario essere indagati: “Spuntano D’Alema e il clan dei casalesi”. Il metodo Woodcock funziona così. Oggi tocca a D’Alema. Domani potrebbe toccare a chiunque altro. Anche più in alto. Anche qualcuno che conosce bene Palazzo Chigi.

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