Le responsabilità della sinistra nella politica dello sputtanamento

Gentile D’Alema, che lei si senta “indignato e offeso” d’accordo

di Giuliano Ferrara | 01 Aprile 2015 ore 06:18 Foglio

Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Gentile D’Alema, che lei si senta “indignato e offeso” d’accordo. Una cooperativa amica può comprare derrate di suoi libri ed ettolitri del suo vino senza che il venditore debba sentirsi infamato da un reato penale, magari per accostamento a pratiche corruttive del sindaco di Ischia (da provare) o addirittura al clan dei Casalesi (come da titoli offensivi che l’hanno indignata), specie se l’accostamento sia ricavato da intercettazioni in cui se ne dicono delle brutte. Siamo scattati ieri in prima pagina, come un soldatino del giusto processo e del diritto alla privacy, come un giornale che schifa le intercettazioni di cui sono fatte da vent’anni le copie vendute di imprese editoriali cialtrone e le inchieste alla Woodcock. Abbiamo documentato in sintesi lo scandalo della giustizia contraffatta, radicalmente deformata, che connota questo paese, lo scontro tra poteri, la divisione ormai inesistente dei poteri costituzionali, la corrosione della democrazia (altro che democratura) e le guerre culturali intorno ai diritti delle persone e alla dignità della classe dirigente come dell’ultimo poverocristo.

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Siamo gli unici che hanno fatto per due decenni almeno questo mestiere di cani da guardia di un tesoro ogni giorno saccheggiato. E abbiamo anche potuto ironizzare senza problemi sulla Faraona, la nipote di Mubarak, ma solo perché non le abbiamo mandate a dire quando i pm hanno cercato di incastrare un uomo di stato con la “furbizia orientale” di suoi invitati a bisboccia. A noi le norme sul voto di scambio e sul traffico di influenza, e la loro interpretazione arbitraria e politicizzata, non sono mai piaciute, ci siamo sempre sentiti indignati e offesi, per dirla come ora la dice lei, di fronte a questa manomissione del diritto e della verità storica e dell’autonomia della politica. E quando la raccolta delle foglie (appalto) e un coltellino giapponese per il pesce crudo (arsenale) diventano pretesti per costruire su episodi di corruttela ordinaria l’impalcatura grottesca della “mafia capitale”, lo abbiamo detto, non abbiamo speculato, non abbiamo fatto il ragionamento capzioso secondo cui se l’inchiesta colpisce alla schiena l’avversario, e allora è giusta, se se la prende con un tuo amico, è ingiusta. A occhio e croce, in questa posizione siamo, nella vita pubblica italiana, unici o giù di lì.

Ecco perché ci sentiamo in diritto di chiederle, non già un’umiliante autocritica, ma una riflessione. Non è che si è arrivati a questa logica, come lei dice, di “sputtanamento” a lato e al di là di eventuali reati o di reati conclamati per qualche ragione storica plausibile, forse anche evidente, rintracciabile nel comportamento di parte della classe dirigente, in particolare quella che ha coltivato l’alleanza con il circo mediatico-giudiziario per vincere battaglie che elettoralmente perdeva? Con tanti libri che ha scritto, onorevole D’Alema, ora che si dichiara un semplice pensionato indignato e offeso, non pensa che sarebbe utile un suo pamphlet scabroso e dovuto, diciamo, sul modo malaccorto usato dalla sua parte politica del funzionamento della giustizia? E’ vero, da tempo lei è più tra gli sputtanati che tra gli sputtanatori. E’ accaduto a una lunghissima sfilza di moralizzatori l’essere stati d’improvviso malamente e ingiustamente, a volte, moralizzati. Ma un suo libro-verità che metta definitivamente le cose a posto, come a lei piace fare o piaceva fare, sarebbe un caso civile e un caso editoriale di primo rango. Ne acquisteremmo tre, quattrocento copie, e poi faremmo un brindisi con il suo buon vino d’Umbria.

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