Il brutto scherzo dei Ris nel paese del caso Tortora

Il video dell’inchiesta sul caso Yara Gambirasio manomesso a uso e consumo dei media. Il processo mediatico farlocco e quello (pieno di dubbi) reale

di Maurizio Crippa | 03 Novembre 2015 ore 14:21

Sareste contenti di finire all’ergastolo per l’omicidio di una ragazzina, dopo aver lasciato tracce organiche ancora un po’ tutte da verificare sul suo corpo di giovane atleta, e quando pensavate di averla fatta franca – con la moglie i figli e i compaesani – a incastrarvi invece arriva un nuovo metodo di indagine, lo screening del Dna di tutta la valle, e vi beccano perché il Dna dice che siete figli di vostra madre, ma non di vostro padre? Colpevoli o innocenti, vi sentireste come Massimo Giuseppe Bossetti: attoniti, quasi (quasi) vittime di un sopruso investigativo. Se poi, giunti finalmente al processo vero, dopo un anno buono di processo mediatico che ha rovistato persino nelle mutande di vostra moglie, venisse fuori il ragionevole dubbio che la prova “fine di mondo”, come direbbe il Dottor Stranamore, la prova del Dna di tutta la bergamasca forse non è perfetta? Beh, lo sguardo attonito – quello sguardo senza sopracciglia nel cerchio dell’abbronzatura da lampada del muratore bergamasco, acquisterebbe un suo perché. Siamo a un processo penale, o a un processo mediatico? O in un romanzone di Kay Scarpetta?

Dopodichè, al processo in corso contro Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra, Bergamo, uccisa nel 2010, succede qualcosa che vi lascerebbe anche più attoniti, se foste al posto dell’imputato. Ma, soprattutto, lascia attoniti (o dovrebbe) tutti i cittadini anche innocenti, e almeno tutti quelli che alle regole e al garantismo ci credono (poi ci sono anche gli altri, quelli che prima condanni e poi vedi, ma loro li tralasciamo). Infatti succede (grazie al bravo cronista Luca Telese su Libero) che si scopre – nel dibattito in Aula – che un video a cui tutte le tv e i giornali hanno dato grande rilevanza “accusatoria”, anzi “probatoria”, diffuso con il logo del Reparto investigazioni scientifiche (Ris) dei Carabinieri, è semplicemente falso. Taroccato, manomesso. Dite come volete. E’ il video in cui si vede il famoso furgone bianco di Bossetti transitare in loop davanti alla palestra in cui Yara Gambirasio fu vista viva l’ultima volta. Incalzato dall’avvocato di difesa, il comandate del Ris di Parma, Giampiero Lago, ha ammesso che quel video è un fake, è stato montato: “Concordato con la procura a fronte di pressanti e numerose richieste di chiarimenti della circostanza che era emersa”. Insomma è una prova sì, ma solo per il processo mediatico.

Per concludere: è un bene che il suddetto video-falso sia stato scartato come prova processuale già da subito, dagli inquirenti. Dunque tranquilli, se Bossetti sarà condannato, non sarà per un falso confezionato dal Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri. Ma che un gruppo investigativo specializzato, stimato e accreditato delle Forze dell’ordine abbia anche solo potuto pensare di manomettere una possibile fonte di prova, a uso e consumo della stampa, e in modo “concordato con la procura”, è uno scempio che non si può passare sotto silenzio. E’ un fatto che non può esistere in uno stato di diritto. Anche questo stato di diritto, ahinoi, più o meno è sempre quello del caso Tortora.

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