La minacciosa inchiesta segreta di Ilda

1-’Ndrangheta ed Expo. Il fascicolo non s’è visto, ma Sala si preoccupi.2. Expo è la Fiat del terzo millennio. La moratoria sulle indagini relative all’esposizione non è certo una novità

di Redazione | 23 Gennaio 2016 ore 06:18 Foglio

1-Il Comitato milanese antimafia guidato da Nando Dalla Chiesa (che due giorni fa sul Fatto inneggiava a quant’è in salute l’Antimafia) avrebbe segnalato irregolarità – filone appalti-’ndrangheta-Expo: dunque grane sulla capoccia del candidato renziano alle primarie, Beppe Sala – alla Direzione distrettuale antimafia milanese, retta da Ilda Boccassini. Un fascicolo, dunque, deve esistere. Aperto, come lascia intendere Gianni Barbacetto sul Fatto di ieri. Solo che l’inchiesta è “segreta”, ci dicono. Dunque, secondo la regola aurea dei segnali che rimbalzano dalle procure ai giornali e viceversa, è ancor più minacciosa. Perché le altre relazioni del comitato di salute pubblica di Dalla Chiesa sono note, quella invece relativa all’Expo è, minacciosamente, segretata.

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Silente da un po’, diciamo da dopo i rovesci del caso Ruby, Boccassini è tornata alle cronache per avere detto di recente, all’inaugurazione della mostra fotografica “Gli invisibili, ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza” al Palazzo di giustizia di Milano, che “il cratere lasciato dall’esplosione di Capaci doveva rimanere” e averlo chiuso “è stata la prima rimozione voluta dal nostro paese”. Boccassini rimane silenziosa, per ora, sul presunto fascicolo degli appalti Expo in odore di mafia. Ma si incarica il Fatto di far sapere che forse l’inchiesta c’è, e se riguardasse davvero l’ad Sala finirebbe per riguardare, almeno in effigie, anche il Matteo Renzi che durante Expo ringraziava la procura di Milano per la “sensibilità istituzionale”. E la “sensibilità istituzionale” di Boccassini, si chiede Barbacetto, come sarà? E l’inchiesta ’ndranghjeta cantieri, dov’è? Inchiesta avvisata è mezza avviata.

2-giustiziami, cronache Expo è la Fiat del terzo millennio. La moratoria sulle indagini relative all’esposizione non è certo una novità. Tutto vecchio. Accadde già nel corso della finta rivoluzione di Mani pulite con la Fiat. Correva l’anno 1993. Una riunione nell’ufficio dell’allora capo della procura Borrelli con gli avvocati della multinazionale, in testa Giandomenico Pisapia, il padre del sindaco di Milano, e zac. Via tutto. Nonostante Cesarone Romiti avesse presentato un elenco di tangenti pagate molto lacunoso (eufemismo). C’era un pericolo di inquinamento probatorio enorme. Non solo Romiti non finì a San Vittore (sempre bene quando non si usano le manette ma deve valere sempre e per tutti). Finirono le indagini, gli accertamenti, le perquisizioni, gli interrogatori, le iscrizioni nel registro degli indagati.

E la Fiat non fu l’unico colosso a essere miracolato. Il discorso fu lo stesso per la Cir di Carlo De Benedetti, per Mediobanca che fece un solo boccone di Montedison. Memorabili le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali durante il teleprocesso a Sergio Cusani: “Se il dottor Di Pietro decidesse di andarsi a fare un giro dalle parte di via Filodrammatici io lo accompegnerei volentieri”. Tonino da Montenero di Bisaccia se ne guardò bene. Last but not least, la deposizione dell’allora ad dell’Eni, Franco Bernabè. “L’abbiamo finita con la pratica delle società off-shore?” fu la domanda del pm che sognava Mani pulite nel mondo. “La stiamo finendo” fu la risposta che confessava un reato in flagranza. Ma accadde nulla.

La strategìa del mitico pool era di salvare i grandi imprenditori a scapito dei politici. Un solo grande imprenditore sarà poi indagato a fondo per anni ma perchè era “disceso in campo” per necessità: le sue aziende navigavano in acque molto perigliose. E lui così le salvò.

Storie del passato ma di grande attualità. Expo, l’esposizione voluta da tutti gli schiaramenti politici, dalle banche, dalle grandi imprese era una sorta di patria da salvare. E la magistratura ha dato il suo contributo non facendo il suo dovere, imposto dalla Costituzione e dal codice. Tanto che Renzi ha detto grazie due volte al procuratore Bruti Liberati, ora in pensione, “per la sensibilità istituzionale”.

L’ultima di Bruti, prima di lasciare, è stata la decisione di chiedere l’archiviazione per l’accusa di abuso d’ufficio a Peppino Sala in relazione ai rapporti con Eataly. Un colpo di spugna. Boatos e indiscrezioni raccontano di perplessità e dubbi all’interno della procura ma alla fine tutti si sono adeguati.

Insomma c’è l’abuso d’ufficio a fin di bene. Dipende dall’indagato. Almeno togliessero dalle aule la scritta “la legge è uguale per tutti”. Sarebbe meglio non solo per loro ma anche per noi comuni mortali. (frank cimini)-per giustiziami cronache

Categoria Giustizia

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