Il vero problema del Pd è la fuga dei giovani. E la colpa è di Renzi

Le analisi sulle amministrative confermano una tendenza in atto da anni: i giovani preferiscono i Cinque Stelle e il Pd è sempre più un partito di anziani. La prima cosa di cui dovrebbe occuparsi Renzi è questa. Altro che lanciafiamme

di Francesco Cancellato, Linkiesta 10.6.2016

«Dopo i ballottaggi entrerò nel partito con il lanciafiamme», ha tuonato Matteo Renzi, in risposta all’ennesima indagine post elettorale della magistratura sul Pd campano. Una dichiarazione bellicosa che ha un sottotesto esplicito: il problema del partito democratico sta nella sua nomenclatura, nel peggiore dei casi corrotta, nel migliore incapace. E forse sì, c’è anche questo problema. Ma se fossimo in Renzi da queste elezioni avremmo altre e ben più cruciali questioni a tenerci svegli la notte. Prima fra tutte, la gigantesca contraddizione della svolta renziana: la fuga degli elettori giovani.

Non stiamo parlando di noccioline. Tra gli elettori che hanno dai 18 ai 34 anni, il Movimento Cinque Stelle è ormai saldamente il primo partito, così come il Pd lo è tra gli over 65. E stando alle analisi di Swg, anche in queste ultime amministrative, con la singolare eccezione di Milano, i democratici sono crollati tra i giovani e hanno recuperato consensi grazie agli anziani.

Qualcosa non torna. Soprattutto perché, in teoria, il Pd e i suoi predecessori erano tradizionalmente il punto di riferimento politico per gli elettori giovani. Se lo abbandonano, in massa, proprio nel momento in cui al vertice del partito viene eletto un giovane come Matteo Renzi, che ha sempre messo la questione generazionale e della modernizzazione a misura di giovani al centro della sua biografia politica, qualcosa non torna.

Tra gli elettori che hanno dai 18 ai 34 anni, il Movimento Cinque Stelle è ormai saldamente il primo partito, così come il Pd lo è tra gli over 65. Delle due una: o i giovani sono completamente dissociati dalla realtà. O Renzi, in qualche modo, ha tradito le loro aspettative

Delle due una: o i giovani sono completamente dissociati dalla realtà. O Renzi, in qualche modo, ha tradito le loro aspettative. Una breve scorsa ai provvedimenti del governo fa propendere per la seconda ipotesi. Certo, il jobs act, la decontribuzione, le assunzioni ai precari della scuola, la mancetta ai diciottenni. Tutte cose importanti, certo. Ma la sensazione generale è quella di un governo che ha concesso qualcosa ai giovani, ma che non ha redistribuito in alcun modo reddito, opportunità e potere lungo la direttrice dell’anagrafe.

Ci mettiamo nei panni di un venticinquenne, che forse si aspettava di essere il centro del nuovo progetto politico renziano. Non una fastidiosa appendice cui lisciare il pelo e dare un contentino una volta ogni tanto. Che credeva che la banda larga sarebbe stato il primo provvedimento del governo Renzi, un paio di anni fa. Che pregustava politiche attive per il lavoro degne di questo nome. Che si aspettava davvero mille nuovi asili nido per poter procreare e lavorare senza eccessivi patemi. Che credeva davvero che i “tesoretti” sarebbero stati spesi in larghissima parte per dare ossigeno ai freelance o per forme di sostegno al reddito universali e non per dare 80 euro al mese ai lavoratori dipendenti, per sgravare di contributi le imprese che assumono senza chiedere loro nulla in cambio, per abolire le tasse sulla casa di proprietà.

In parole povere: più che con la classe dirigente territoriale del suo partito, forse Renzi dovrebbe prendersela con se stesso e con la sua agenda governativa. Posando il lanciafiamme, magari, che per recuperare consenso serve altro.

Categoria Italia

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