Lega e M5s, anche se lo negano, si scambieranno i voti al ballottaggio

Un luogo comune: «Il nemico del mio nemico è il mio amico» (inimicus inimici mei amicus meus)

 di Gianfranco Morra talia Oggi 11.6.2016

Da sempre vale per tutti i rapporti umani, soprattutto per quelli politici. Tanto che, a partire dalla Bibbia (Esodo, 23, 22), è divenuto un luogo comune: «Il nemico del mio nemico è il mio amico» (inimicus inimici mei amicus meus). Che questa regola dovesse scattare anche per i ballottaggi delle comunali, dove chiunque ha vinto il primo turno rischia di essere battuto, non deve dunque stupire.

Renzi lo sa bene e si è cautelato: «Anche se il Pd perderà a Roma e Milano (e Torino e Bologna?), io non mi dimetto». Giusto: anche le elezioni comunali sono indicative della salute del governo, ma restano diverse dalle politiche. In una repubblica parlamentare, come la nostra, sono i voti del parlamento che mettono in crisi il governo. In settant'anni di repubblica, una crisi dovuta alla sconfitta nelle amministrative (o in un referendum) non l'abbiamo mai vista.

L'affermazione di Renzi è così ovvia, che non riesce a nascondere i timori che ci stanno dietro. Dato che la sua leadership è uscita indebolita dal primo turno delle comunali e ancor più potrebbe esserlo dopo i ballottaggi. Egli sa di avere tutti contro, il centrodestra, la sinistra fuori e anche dentro il suo partito, e i due partiti «populisti» della Lega e del M5s. Che, non a caso, sfrutteranno l'occasione, votandosi reciprocamente.

Naturalmente con tutte le sceneggiate prescritte dal teatrino della politica. Salvini: «Nessuna alleanza, ma la possibilità di cambiare» (leggi: far cadere il governo). Di Maio ha rispolverato la vecchia tecnica democristiana del «fatelo pure, ma col preservativo» (nisi caste, saltem caute): «Nessuna indicazione di voto, nessun inciucio, i pentastellati voteranno per i candidati migliori». Cioè, di fatto, per quelli che si oppongono a Renzi.

Le due formazioni, che la sicumera sinistrorsa ha liquidato come »populiste», mostrano alcune divergenze, come quelle sulla sicurezza e sui migranti, ma non mancano di avere punti comuni: il moralismo di comodo che ostracizza i partiti e quei «poteri forti», che entrambe cercano di conquistare, il forte antieuropeismo e, soprattutto, l'obiettivo comune di «far fuori» Renzi.

Ma c'è una differenza di fondo: il M5s naviga stabilmente intorno al 27% dei consensi, mentre la Lega ha mostrato di non riuscire ad andare oltre il 15%. Il primo è già, anche da solo, partito nazionale di governo, mentre la seconda, prevalentemente subalpina, ha bisogno di conquistare un'egemonia nell'alleanza con le «destre» di Berlusconi e Meloni. Di certo con l'Italicum al ballottaggio delle elezioni politiche andrebbero Pd e M5s. Di Maio non ha mancato di farlo capire a Salvini: vacci piano, sei bravo, ma noi contiamo il doppio.

Categoria Italia

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