Dunque, avevano ragione i No Tav?

Dai tunnel ai tubi alle ciminiere l'assurda incertezza dei periti. Non c'è che dire: l’Italia è proprio un paese del tubo.

 di Sergio Luciano Italia Oggi 8.7.2016

Dunque, avevano ragione i No Tav? Dopo tanto sgolarci, noi legittimisti, a sostenere che l'alta velocità ferroviaria in Val di Susa era opera sacrosanta e necessaria allo sviluppo economico italiano ed europeo, apprendiamo dal nuovo governo che c'è un contrordine, compagni. I tunnel ad alto impatto ambientale potranno essere di tre quarti più corti. Restituiamo la stima a Erri De Luca, ammesso che gliel'avessimo tolta? Diamo la commenda della Repubblica al teppista che provocava il poliziotto chiamandolo «pecorella»? Forse: sicuramente, intanto, destituiamo di ogni credibilità la lunga fila di periti e pseudo tali che hanno, per dieci anni, certificato l'inderogabile necessità e l'assoluta appropriatezza dell'opera.

E l'Ilva? Ora che, pare, tornerà a produrre barre, lamiere e tubi a Taranto, si può star certi che lo farà in modalità ecologicamente sicure? Chi l'ha periziato, stavolta, dopo tanti pareri anche opposti che si sono susseguiti e scontrati anche in sede giudiziaria? Si dirà: le autorità nazionali. Bravi, ingenui: e i periti di questa o quella procura, dove li mettiamo? Siamo o non siamo nel paese che per stabilire quanto vanno indennizzati i danni biologici degli incidentati stradali si riferisce alle tabelle del tribunale di Milano salvo preferenze per quello di Vattelapesca, tanto nessun criterio nazionale unico è stato mai adottato?

E che dire della grottesca vicenda che tra pochi giorni vedrà il ministero dei trasporti alla sbarra del Tar per la bega del «Dukic Day Dream»? Sarebbe lunga a spiegarsi nei dettagli, ma in due parole è un contenzioso giudiziario nato dalla pretesa di una piccola imprenditrice di far omologare una propria invenzione come marmitta catalitica, nonostante il secco e reiterato no del ministero, in forza di un «ni» espresso da una motorizzazione provinciale, quella di Bari. Ma insomma, come può il no del ministero sul tubo della signora Anna Dukic, essere bilanciato dal sì di Bari?

Come possono un Tar (e una procura) indagare su un tema così tecnologicamente controvertibile senza rivolgersi a un'autorità superiore, semmai, al ministero, e non inferiore per rango e credibilità scientifica? Eppure è per la mancanza di risposte serie a queste domande che sul caso Tav l'Italia si è coperta di ridicolo con i francesi e con l'Europa, che l'Ilva è a bagnomaria nell'incertezza ormai da anni, che il ministero dei trasporti e un paio di suoi dirigenti sono nel frullatore delle inchieste, accusati di aver voluto privilegiare l'Iveco e la Pirelli rifiutando l'omologazione al tubo Dukic perché l'hanno detto un paio di periti di provincia.

Non c'è che dire: è proprio un paese del tubo.

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