Mario Giordano, sentenza tombale sull'Islam in Italia: "Siamo una civiltà finita"

Ma quei bresciani di Pontoglio, poi, che cosa si sono messi in testa? Di difendere la tradizione cristiana? La cultura occidentale? Sono diventati matti? Meritano una bella multa e una condanna, parola del Tribunale di Brescia, sentenza pronunciata nel nome di Allah

Libero 21.7.2016

Ma quei bresciani di Pontoglio, poi, che cosa si sono messi in testa? Di difendere la tradizione cristiana? La cultura occidentale? Sono diventati matti? Meritano una bella multa e una condanna, parola del Tribunale di Brescia, sentenza pronunciata nel nome di Allah. Così la prossima volta imparano. Se fanno i furbi. La tradizione cristiana, pensa un po’. Ma perché non difendono Maometto, come va di moda oggi? La tradizione sunnita? Le sure del Corano? Perché non chiedono di sostituire il prete con un imam? E il campanile con un minareto? Perché non inneggiano al burqa come strumento di protezione della donna? Ecco, quello sì che piacerebbe a tutti. Persino al tribunale. Altro che multa: avrebbe dato loro un premio.

Invece, niente. Quei testoni sono rimasti gli ultimi a combattere per la cultura occidentale. Per la tradizione cristiana. Scommetto che sono di quella pasta lì, i nostalgici che a Natale fanno ancora il presepe, anziché andare in pellegrinaggio alla Mecca, e insegnano ancora ai loro figli a rispettare la Quaresima anziché il Ramadan. Razza di retrogradi. Così retrogradi che il loro legame con la tradizione l’avevano voluto esibire, mettendolo bianco su marrone in un cartello, all’ingresso del paese. Proprio sotto «Pontoglio», infatti, c’era il nome in dialetto «Pontoi» e poi la scritta, di cui s’è fatto un gran discutere nei mesi scorsi: «Paese a cultura occidentale e di profonda tradizione cristiana. Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene». Avete capito bene: «Chi non intende rispettare» le tradizioni è «invitato ad andarsene». Ma in realtà non se n’è andato nessuno. A parte il medesimo cartello, per l’appunto.

Il Comune, infatti, l’aveva messo il 30 novembre scorso, ma a luglio l’aveva già tolto. S’era subito capito che non era aria. Polemiche, sollevazioni, denunce in Procura. Ma l’autocensura (già di per sé piuttosto umiliante) non è bastata. Il giudice di Brescia, infatti, non s’è accontentato della rimozione, e l’altro giorno ha appioppato una punizione esemplare, con condanna per «discriminazione collettiva» e in aggiunta una bella multa. Soldi soldi soldi: così quei testoni imparano. E pagano per la grave colpa di aver detto a chi entra in paese che loro sono occidentali e cristiani. Non l’hanno capito che, dalle nostre parti, non si usa più? Come vedete, stiamo facendo dei rapidi progressi: un tempo discutevamo se era possibile accettare la cultura islamica in Italia. Adesso stiamo discutendo se e quando è possibile proclamarsi cristiani senza dar fastidio. Preparatevi: la sottomissione definitiva è ormai vicina.

Fra l’altro è piuttosto bizzarro che sotto i cartelli delle città d’Italia si possano vedere scritte di tutti i tipi, dal tradizionale e insensato «Comune denuclearizzato» ai «Comuni deautoveloxizzati», dal «Comune non belligerante» (Bisceglie) al «Comune detruciolizzato» (Torrecuso) al «Comune derazzistizzato« (Montesilvano) passando per un’infinità di «città di pace», gemellaggi con paesi polacchi e scandinavi che non esistevano nemmeno a Giochi senza frontiere, inni a autorità locali più o meno meritevoli di celebrazione. L’unica cosa che non si può scrivere, abbiamo accertato con questa storia sentenza, è che un Comune è cristiano. Detruciolizzato sì, cattolico no. Singolare, non vi pare?

I motivi di questa decisione sono ancor più surreali. Il giudice infatti, nel condannare, parla di «discriminazione per motivi religiosi e etnici». Sarà. Ma rileggendo il cartello incriminato, rimosso e condannato a noi pare di capire che l’invito «ad andarsene» non è genericamente rivolto a chi professa un’altra religione o appartiene a un’altra etnia, ma soltanto a chi (di qualsiasi religione o etnia sia) non «intende rispettare la cultura e le tradizioni locali». Dov’è la discriminazione? Io non posso chiedere che chi arriva a casa mia rispetti ciò in cui credo? E perché?

Dunque, secondo questa sentenza, se uno entra in paese e sputa sul presepe dev’essere il benvenuto. Orina sulla chiesa? Prego, s’accomodi. Sbriciola la statua del santo patrono? Dobbiamo ringraziarlo. Magari stendergli un tappeto rosso. Avanti, venga pure la stavamo aspettando. Si capisce: noi dai Comuni togliamo gli autovelox, al massimo, ma non i vandali. Eliminiamo il nucleare che non c’è, ma non gli aggressori. E non vediamo l’ora di farci offendere, umiliare, magari sopraffare e, se è il caso, trucidare senza batter ciglio. Soprattutto, senza scrivere cartelli che possano irritare i nostri tribunali. I quali, avanti di questo passo, la prossima sentenza sulla cultura cristiana la emetteranno applicando direttamente la sharia.

di Mario Giordano

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