M5s, chi scende e chi sale dopo il caso Muraro

Il caos romano indebolisce Di Maio. E un direttorio troppo dipendente da Grillo. Raggi scivola. Di Battista e Pizzarotti si rafforzano. Come cambiano gli equilibri.

Vignetta Vincino il Foglio

di Davide Gangale | 09 Settembre 2016 Lettera43

La fuga in avanti di Luigi Di Maio, fin qui candidato premier in pectore del Movimento 5 stelle, si è fermata a Roma.

Ben prima delle elezioni che forse avrebbero potuto condurlo a Palazzo Chigi, il giovane vice presidente della Camera è inciampato nelle mail e negli sms del caso Muraro. A Nettuno è stato costretto ad ammettere l'errore, sotto gli occhi di Beppe Grillo e degli altri colonnelli pentastellati, ma la mossa non sembra essere bastata.

CAMBIANO GLI EQUILIBRI INTERNI. Il direttorio nazionale e il defunto mini-direttorio romano, del resto, non ne sono usciti meglio.

La crisi attraversata in Campidoglio dalla Giunta di Virginia Raggi ha già cambiato gli equilibri interni al Movimento 5 stelle e le scosse di assestamento non sono ancora finite. L'ultimo colpo di scena ha portato al mancato conferimento dell'incarico a Raffaele De Dominicis, assessore al Bilancio in pectore, perché pure lui risulta indagato.

Ecco allora un borsino per capire chi sale e chi scende nelle gerarchie del M5s, che con la scomparsa di Gianroberto Casaleggio e la conquista della Capitale sembra aver perso politicamente la bussola.

Chi scende

Luigi Di Maio: finiscono qui i sogni di gloria?

Non sapeva, non aveva capito, aveva sottovalutato, alla fine è stato costretto ad ammettere di essersi sbagliato.

Di Maio, il vice presidente della Camera pronto a candidarsi premier per il Movimento 5 stelle nel 2018, il delfino di Grillo che aveva incassato anche l'endorsement del rivale più accreditato (disse Di Battista: «È un grande, non è che lo sponsorizzerei, di più. Ho tanta stima di lui, è una persona eccezionale che lavora 18 ore al giorno») esce fortemente ridimensionato dal caso Muraro.

FUGA DAL TALK. È fuggito dalla trasmissione televisiva in cui avrebbe potuto chiarire, in contraddittorio con la stampa, la sua posizione.

Sui social è stato il bersaglio principale delle ironie e delle invettive della base.

E dentro al Movimento ha dovuto sottoporsi al terzo grado del Direttorio.

È sicuramente Di Maio quello che ha perso di più.

Virginia Raggi: una figuraccia sulla nomina di De Dominicis

Grillo non ha voluto incontrarla. Al comizio di Nettuno non è stata invitata. Ma Raggi, colpita dal caso Muraro, aggrapata a sottili distinzioni da Prima Repubblica come la differenza tra l'iscrizione nel registro degli indagati e la ricezione di un avviso di garanzia, tutto sommato aveva retto. Poi però è arrivata la sconfessione di Raffaele De Dominicis, assessore al Bilancio per 24 ore, 'reclutato' dallo studio legale Sammarco e Associati.

AVEVA RESISITO AL DIRETTORIO. Al telefono con Grillo, Raggi era riuscita a negoziare una tregua armata. Nel braccio di ferro con il direttorio, che chiedeva quattro teste (Raffaele Marra, Salvatore Romeo, Paola Muraro e Raffaele De Dominicis), aveva perso solo quella del vice capo di gabinetto Marra, che tra l'altro dovrebbe essere soltanto trasferito e non mandato a casa, mentre Romeo dovrebbe vedersi dimezzare lo stipendio. L'8 settembre la sindaca aveva accolto a Roma il Capo dello Stato, affermando dal palco del 73esimo anniversario della difesa della città che «la Resistenza è un momento fondamentale della nostra storia e della nostra identità di italiane e di italiani».

NOMINE BOOMERANG IN CAMPIDOGLIO. Ma in Campidoglio, più che resistere, lei scivola. Perché non controllare prima, se gli assessori corrispondono oppure no al codice etico del Movimento 5 stelle? E come si giustifica la differenza di trattamento tra la Muraro, che «deve continuare a lavorare», e De Dominicis, che non può nemmeno cominciare? Inoltre, col senno di poi, la sindaca farebbe bene a rivedere il giro delle proprie amicizie. Se il mini-direttorio ha cercato senza successo di condizionarla, i buoni uffici dello studio Sammarco hanno aggravato la crisi della sua Giunta, tirando fuori dal cilindro il nome sbagliato.

Direttorio nazionale: non può fare a meno di Grillo

A cosa serve il direttorio del Movimento 5 stelle? I cinque membri (Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio) che dovrebbero condurre i grillini sulla retta via, non solo scoprono che fra di loro ci sono elementi fallibili (vedi Di Maio), ma dimostrano di non poter fare a meno di Grillo.

Quando il gioco si fa duro, quando c'è da trovare un'exit-strategy, quando occorre un compromesso con la sindaca di Roma che scongiuri la rottura del giocattolo, è sempre il fondatore a dover entrare in campo.

L'ATTACCO DI PIZZAROTTI. Il direttorio nel suo insieme, invece, presta il fianco all'attacco sferrato dal sindaco di Parma, Federico Pizzarotti: «Dovrebbe rassegnare in blocco le dimissioni per non aver saputo gestire il Movimento e si dovrebbe finalmente tornare a parlare di partecipazione e di condivisione degli indirizzi politici».

Pizzarotti a parte, anche i senatori pentastellati reclamano un posto sul ponte di comando.

Mini-direttorio romano: doveva aiutare Raggi, l'ha quasi affossata

Con le dimissioni irrevocabili di Roberta Lombardi dallo staff capitolino, il mini-direttorio romano che i vertici del Movimento avevano voluto affiancare a Raggi aveva già subito un duro colpo.

Il vincolo di obbedienza e cooperazione si era già rotto a luglio, prima che esplodesse il caso Muraro.

Ma le mail e gli sms che dimostrano che Di Maio non poteva non sapere, quelli pubblicati da Repubblica, da dove sono arrivati?

ARMA A DOPPIO TAGLIO. Dell'ormai defunto mini-direttorio facevano parte la senatrice Paola Taverna, l'europarlamentare Massimo Castaldo e il consigliere Gianluca Perilli.

Taverna ha smentito che la 'manina' fosse sua, e ha minacciato querele: «Ho già provveduto a far smentita pubblica a chi si è permesso di dire che sono stata io a passare mail ed sms alla stampa e sono pronta a querelare chiunque lo affermi nuovamente! CHIARO??????», ha scritto su Facebook.

Sta di fatto che quella rete che doveva aiutare la sindaca Raggi, dopo aver provato ad imbrigliarla, ha finito per tentare di affossarla e si dissolta con le dimissioni di tutti i suoi membri.

Stefano Vignaroli: i dubbi sul compagno di Taverna

Non esce bene dall'affaire-Muraro neanche il compagno della senatrice Taverna, Stefano Vignaroli.

Ha partecipato a una riunione del mini-direttorio sul tema dei rifiuti, evento che aveva portato Dagospia a definirlo «raccomandato a 5 stelle». E soprattutto, secondo quanto ricostruito da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, ci sarebbero dubbi sul suo ruolo che risalgono al 30 giugno scorso, sette giorni prima che venisse presentata la Giunta Raggi: «Nello studio del portaborse del deputato grillino Stefano Vignaroli - ritenuto il maggiore sponsor di Muraro insieme con la compagna Paola Taverna - avviene un incontro con il presidente del Consorzio Colari, che fa capo a Cerroni anche se formalmente è affittato alla societa Porcarelli. Non è l’unico. Quando la notizia filtra, la commissione parlamentare ecomafie, di cui Vignaroli è vicepresidente, avvia un’istruttoria».

LUI NON COMMENTA. A che titolo Vignaroli si è interessato alla questione? Finora non lo ha mai spiegato.

Contattato da Lettera43.it, ha rifiutato di rispondere.

«Non è escluso che debba farlo di fronte ai pm», conclude Sarzanini.

Paola Muraro: quanto potrà ancora resistere?

Raggi ha deciso che con lei bisogna essere garantisti. L'assessore Paola Muraro, indagata dalla procura di Roma per abuso d'ufficio e violazione delle norme ambientali, secondo i pm avrebbe mediato un presunto accordo illecito tra l’ex dirigenza di Ama e il re dei rifiuti Manlio Cerroni.

Muraro, che negli ultimi dodici anni è stata consulente di Ama, aveva la delega al controllo degli impianti di Cerroni, che funzionavano però a ritmo ridotto.

RAGGI LA PROTEGGE, PER ORA. Ha chiesto di essere sentita dai pm e presto sarà convocata in procura. Ma sul suo ruolo c'è già la testimonianza pubblica di Daniele Fortini, ex amministratore delegato di Ama, che si è dimesso proprio a causa di insanabili divergenze con l'assessore indagato: «Girava in azienda le mail che le arrivavano da alcune sue sostenitrici. Le scrivevano: 'Brava, devi andare avanti così. Ma sotto casa mia il cassonetto puzza ed è pieno'. Così nella mail ci chiedeva di andare a pulire proprio quel cassonetto o quella strada. Si chiamano servizi a chiamata elettorale».

Raggi per il momento la protegge. Ma se arrivasse l'avviso di garanzia, sarebbe costretta a dare 'dimissioni spontanee'.

 Chi sale

Alessandro Di Battista: ascesa di un gregario discusso

Sarà pure un «catechista con il mito di Che Guevara» e avrà un «papà fascista», come scrive su La Stampa Jacopo Jacoboni. Oppure «un ragazzo che ha fatto 5 mila chilometri e finisce qui nella piazza della giustizia e del perdono», come lo ha definito Grillo mercoledì sera a Nettuno, nell'ultima tappa del suo tour Costituzione Coast to Coast.

Ma dalla convulsa resa dei conti interna al Movimento 5 stelle, dalle ombre lunghe del caso Muraro e da tutto ciò che ne è conseguito, dai vertici-fiume e dai comizi in streaming, l'unico astro che sale davvero è il suo, quello di Alessandro Di Battista.

UN CANDIDATO? NON PER FORZA. Un astro gregario, se vogliamo, se è vero che per il Dibba il Movimento non ha bisogno di un candidato premier.

«La legge elettorale non ce lo impone, possiamo candidare il Movimento e decidere il capo del governo dopo aver vinto le elezioni», avrebbe sostenuto negli ultimi giorni, nei corridoi di Montecitorio.

Federico Pizzarotti: il marasma lo rafforza

L'eterno sospeso Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, sferra attacchi al Direttorio e rilascia interviste a raffica.

Il marasma del Movimento 5 stelle lo rafforza. Difficile negare che siano stati usati due mesi e due misure, «con me e con la Raggi, con me e Nogarin, insomma con me e con qualsiasi altro, di fatto», ha dichiarato di recente. Altrettanto condivisibile, sebbene non imparziale, il suo afflato garantista: «Forse il passato di Tangentopoli ci ha un po' deformato. L’avviso di garanzia, lo dice il nome, serve ad avvertire che c'è un’indagine in corso, per potersi tutelare». E non per far scattare manette, vendette e gogne preventive.

Chi tiene botta

Beppe Grillo: qualche gaffe di troppo, ma è insostituibile

L'ayatollah del Movimento 5 stelle, per quanto «stanchino» e intenzionato a compiere «un passo di lato», si è dimostrato ancora una volta insostituibile.

L'arbitro, il garante 70enne che deve precipitarsi a Roma alle tre di notte, è ancora lui, Grillo.

SENZA DI LUI IL DILUVIO? Sempre pronto a un Vaffa, tra una gaffe sugli omosessuali («mi aspettavo molto di più, un avviso di garanzia per me, cinque chili di cocaina nella macchina, finalmente la scoperta che lui, Di Maio, è omosessuale», ha detto sul palco di Nettuno, parlando della reazione del 'sistema' contro i 5 stelle) e un paragone spericolato («Raggi è come il primo sindaco negro del Mississippi»), ha ascoltato tutti e alla fine ha escogitato un compromesso.

Era l'unica cosa da fare per tentare di riparare le crepe che le rivalità e le lotte di potere per il governo di Roma hanno aperto all'interno del Movimento. Ed evitare di dover ricorrere all'ordigno 'Fine di Mondo': il ritiro del simbolo pentastellato alla sindaca Raggi. Senza di lui il diluvio?

TRE CONDIZIONI PER VIRGINIA. Venerdì 9 settembre, con un post sul blog a firma di Elio Lannutti, presidente di Adusbef, Grillo ha preso posizione contro le Olimpiadi del 2024 a Roma e ha giocato d'anticipo sulla sindaca di Roma, che ancora non si è definitivamente pronunciata. Raggi adesso non può non dire di no ai Giochi, che secondo Lannutti vengono «usati per ipotecare il futuro dei giovani gonfiati di debiti». Le altre due condizioni, da ottemperare entro 48 ore in base a quanto ricostruito da la Repubblica, sarebbero: scaricare Raffaele Marra e Salvatore Romeo e richiamare con una mossa a sorpresa in Giunta Marcello Minenna.

Chi morde il freno

Roberto Fico: tra frustrazione e messaggi in codice

In commisione di Vigilanza Rai, all'audizione del Cda e della presidente della tivù di Stato Monica Maggioni, mercoledì 7 settembre mancava il presidente Roberto Fico.

Non si è presentato, era impegnato a Nettuno.

CHI HA ORECCHIE PER INTENDERE... Dopo il vertice con Grillo, sul palco del comizio collettivo, Fico non ha nascosto la sua frustrazione e ha parlato di «momenti durissimi».

Per lui «il Movimento è un’utopia, non ci sono leader, se facciamo una rivoluzione a metà sarà una rivoluzione fallita».

Il messaggio è chiaro, se Di Maio e gli altri hanno orecchie per intendere, intenderanno. Fico intanto si rifugia nell'ortodossia. E anche per lui, come per Di Battista, «l’unico candidato premier è il Movimento stesso».

Carla Ruocco: un silenzio che sa di rabbia

È l'unica tra i membri del Direttorio che a Nettuno è rimasta zitta.

Un silenzio che sa di rabbia repressa.

CRITICHE A RAGGI E DI MAIO. Di recente però Carla Ruocco non ha risparmiato le critiche a Raggi e Di Maio.

Morde il freno, per il bene del Movimento, e rimane in attesa.

Ma assieme a Paola Taverna e a Roberta Lombardi è lei che capeggia l’insurrezione contro Virginaia Raggi e la sua cerchia di fedelissimi. Già furiosa per le dimissioni di Marcello Minenna, agli albori del caso Muraro scrisse su Twitter: «Preciso di non conoscere la dott.sa Muraro e che apprendo da fonti giornalistiche le sue vicende giudiziarie».

Per la sindaca, zero solidarietà.

Barbara Lezzi: la senatrice ne ha per tutti

«Di Maio è stato superficiale e quanto successo in queste ore è il frutto di troppa autoreferenzialità. La verità è che quattro o cinque persone non possono gestire da sole un movimento grande come il nostro. Bisogna allargare il direttorio, come voleva fare Gianroberto Casaleggio»: firmato Barbara Lezzi.

«ALLARGHIAMO IL DIRETTORIO». La senatrice del Movimento 5 stelle intervistata dal Fatto Quotidiano ne ha per tutti: «La sindaca e il suo assessore Paola Muraro hanno sbagliato, dovevano avvisare il Movimento e i cittadini dell'indagine a carico di Muraro. Ma ora a Roma si deve ripartire».

E il Movimento? «Bisogna allargare il direttorio, serve un organo di almeno 30 o 40 persone».

I cinque al comando, più Grillo, sono avvisati.

Twitter @davidegangale

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