Se si blocca chi può e vuole investire è inevitabile che il pil rimanga piatto

l'Italia è paralizzata da un groviglio di norme che la tengono imprigionata in una ragnatela inestricabile

 di Pierluigi Magnaschi , Italia Oggi 11.10.2016

Il guaio del mondo economico, politico e massmediatico italiano consiste nell'analizzare la situazione economica nazionale solo con il linguaggio delle cifre complessive, riassunte nelle slides e sintetizzate in una percentuale. Il vizio non è solo italiano, intendiamoci bene, ma solo in Italia si sviluppano dibattiti inconcludenti ma anche infiniti su un decimale di percentuale nella crescita o nella decrescita del pil che, oltretutto, è un indice così grossolano della ricchezza creata in un paese che, quando quest'ultimo viene colpito da un terremoto, le spese di ricostruzione fanno balzare in alto il pil che si nutre quindi anche delle disgrazie.

Ecco perché conviene partire dall'analisi delle scelte e dei comportamenti concreti che dimostrano purtroppo (anche se su questo aspetto nessuna forza politica o sindacato si sofferma mai), che dimostrano, dicevo, che l'Italia è paralizzata da un groviglio di norme che la tengono imprigionata in una ragnatela inestricabile. Prendiamo il caso dell'edilizia. Relativa, oltretutto, a una città che è la più dinamica d'Italia (immaginiamo quindi che cosa può succedere altrove). L'edilizia è ferma. Ma le costruzioni sono il volàno dello sviluppo di un paese come l'Italia. Se si ferma l'edilizio, quindi, si ferma tutto. Da qui anche la disoccupazione alluvionale negli edili (altro che Jobs act).

Ci sarebbe da supporre che le organizzazioni sindacali, quando un'opera edile significativa viene bloccata dalla burocrazia assurda e da norme dementi, intervenissero per svegliare la prima e ammodernare la seconda. Un comportamento del genere sarebbe ovvio, se non altro in difesa dei propri interessi. Invece, anche se la disoccupazione fra gli edili ha raggiunto il 60% degli addetti di un tempo, i loro sindacati stanno acquattati come delle lepri impaurite. D'altra parte, non possono muoversi efficacemente, nonostante le loro buone ragioni, i costruttori edili, che essendo stati bollati per sempre dall'epiteto di palazzinari (anche quando realizzano le torri di Porta Nuova che hanno modificato la skyline di Milano portando la città nel secondo millennio, dall'Ottocento nel quale era stata sinora costretta ad appisolarsi), se si muovono vengono fulminati dai media.

Il futuro della città quindi è legato ai lodatori dei tempi passati, ai nemici dei garage (loro, spesso, li hanno, personali, sotto le loro agiate magioni del centro), che sono contro persino alla metropolitana e che, se fossero dei critici d'arte, autorizzerebbero solo le mostre di opere pompieristiche, non di quelle contemporanee.

L'ultimo episodio di questa involuzione è relativo al progetto di un pregevole edificio di 15 piani che avrebbe dovuto essere costruito nella Chinatown milanese Un edificio di 6.800 mq con una cifra stilistica forte, caratterizzante. Se fosse stato approvato, i lavori sarebbero già partiti. Invece sono stati bloccati dalla Commissione paesaggio del Comune di Milano che ha cassato il progetto forte e significativo, costringendo l'impresa a progettare un edificio anonimo in stile nord coreano (con in più i gerani; se li metteranno, gli inquilini).

Altro esempio, il quartiere sull'area ex Enel di Milano, dalle parti del Cimitero monumentale. L'opera, di 31 mila mq, prevede centinaia di appartamenti (tra i quali molti convenzionati), negozi, uffici, un hotel a nove piani, un parcheggio interrato da 250 posti e il museo dell'Associazione del disegno industriale. Il progetto era stato approvato dalla giunta Moratti. Poi è passato l'intera amm.ne Pisapia. È iniziata quella Sala e il complesso non è ancora stato completato. Mentre in solo tre anni, tanto per dare l'idea con chi dobbiamo competere, i cinesi hanno realizzato, in Africa, ben 760 km di binari fra Addis Abeba e il porto di Gibuti e hanno già iniziato a gestire l'intera linea. Il progetto ex Enel fu bloccato da esposti del meglio (si fa per dire) dell'intellighentia meneghina (quella che dice sempre no) con un ricorso al Tar che diede torto ai ricorrenti. Questi ultimi (ettepareva) hanno fatto ricorso al Consiglio di stato che ha cassato la sentenza del Tar perché (ettapareva bis) l'approvazione del progetto da parte del Comune «è avvenuta utilizzando una procedura illegittima». Da qui la sospensione dei lavori con il relativo boom dei costi (che contribuiscono, almeno, a far alzare il volume del pil anche se producono un danno). L'immensa opera, anche in termini dei posti di lavoro, sarebbe rimasta sospesa se i due ricorrenti vincitori al Consiglio di stato non avessero rinunciato «al ricorso a suo tempo proposto davanti al Tar e all'appello avverso la sentenza di quest'ultimo». Questa è l'Italia. Nelle quale non basta mettere soldi. Bisogna riprogettare il motore che li brucia.

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