I Graffi di Damato. Vi svelo i ghirigori dei costituzionalisti sul dopo referendum

Tanto per non smentire che in Italia sia impossibile semplificare le cose, preferendo quasi tutti complicarle

 Francesco Damato, Formiche.net 22.11.2016

Tanto per non smentire che in Italia sia impossibile semplificare le cose, preferendo quasi tutti complicarle, magari solo per fare sfoggio di grande dottrina, come spesso accade anche nelle riunioni condominiali, mi giunge notizia di un grande traffico di costituzionalisti attorno ai consiglieri del presidente della Repubblica, peraltro costituzionalista pure lui, non a caso arrivato al Quirinale dal dirimpettaio Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale. Dove Sergio Mattarella è stato per un po’ giudice, dopo una lunga carriera politica percorsa sulle orme a tratti tragiche dei familiari, avendo perduto un fratello ucciso per ordine della mafia.

L’agitazione è stata provocata dalle voci diffusesi, a torto o a ragione, sulla tentazione del capo dello Stato di semplificare, appunto, le procedure di una crisi se Matteo Renzi dovesse perdere il referendum costituzionale del 4 dicembre e dimettersi.

Il povero Mattarella, che in pubblico evita di parlarne un po’ per garbo istituzionale e un po’ per scaramanzia, avendo già confidato all’amico Eugenio Scalfari, fra le proteste dei soliti, la sua propensione al Sì referendario, sarebbe ragionevolmente tentato di risparmiarsi e risparmiarci le consultazioni dei partiti e rispettivi gruppi parlamentari, o viceversa, come preferite. Esse d’altronde sono solo una prassi, per quanto consolidata, non un obbligo sancito da chissà quale dei 139 articoli che ancora compongono la Costituzione in vigore dal 1948.

Per conoscere gli umori dei partiti e rispettivi dirigenti, specie all’inizio di una crisi apertasi non certo all’improvviso, dopo tutti i tuoni e i lampi che l’hanno preceduta, ad un solerte presidente della Repubblica potrebbero bastare le antenne del suo ufficio stampa, quelle dei consiglieri, i suoi occhi di lettore dei giornali e il suo udito di telespettatore, o di utente telefonico.

Sergio Mattarella sa, in particolare, che la maggioranza attuale di governo è ben decisa a restare ai suoi posti: compresi i dissidenti del Pd schieratisi sul fronte referendario del No ma contrari a una crisi, pur consapevoli e compiaciuti del significato politico di una frattura emersa dalle urne referendarie fra la maggioranza del Parlamento e quella degli elettori o, come si dice in gergo più o meno tecnico, fra il Paese “legale” e quello “reale”.

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Il modo più trasparente e rapido per verificare e sanare una simile frattura sarebbe quello di rimandare il governo davanti alle Camere per un dibattito chiarificatore e una conferma della fiducia, mancando la quale la crisi si riaprirebbe davvero, con la necessità di esplorare la situazione da parte del capo dello Stato, o di una personalità da lui appositamente incaricata.

E no, troppo facile, appunto, un percorso così lineare. Gli illustrissimi e dottissimi costituzionalisti, pronti a sommergerti di saggi e altre pubblicazioni a presa rapida grazie ai potenti mezzi dell’elettronica, ti guardano come un povero analfabeta o, se ti sono amici, come un marziano non ancora ambientatosi sulla Terra, con la maiuscola. E ti spiegano che Renzi può presentarsi alle Camere, chiedere e ottenere una fiducia solo con un altro governo, magari anche fotocopia di quello precedente, in forza di un nuovo mandato o incarico conferitogli dall’illustrissimo signor presidente della Repubblica, e nell’occasione anche ex professore universitario di diritto parlamentare.

Il capo dello Stato, se vuole proprio fare l’innovatore o il rivoluzionario, come nel suo campo Papa Francesco, che ha appena varato una misericordiosa e mezza depenalizzazione ecclesiastica dell’aborto, faccia pure a meno della prassi delle consultazioni ma non si permetta di saltare il passaggio di un altro mandato e di un altro governo. Non si permetta insomma di lasciare inattiva quella portentosa macchina lavatrice custodita al Quirinale, dove i panni entrano sporchi ed escono puliti, si spera.

Può un uomo di buone maniere e timorato di Dio permettersi di sfidare tanti illustrissimi e dottissimi padroni della scienza costituzionale senza avere paura di fare una brutta fine e/o figura? E rischiare una morte per infarto a vedere di notte per le stanze e i corridoi del Quirinale fantasmi di presidenti, re e pontefici sconvolti da tanta sfrontatezza? No che non può. Incarico o reincarico sia, per carità. E, visto che ci siamo, vengano pure consultazioni in alto e in basso, a destra e a sinistra, di giorno e di sera, magari anche in due o tre turni, per sincerarsi che tra l’uno e l’altro nessuno ci abbia ripensato, o sia morto ammazzato, per qualche maledizione del solito Vincenzo De Luca, e il cadavere buttato in qualcuna delle grandi buche che neppure i grillini riescono a risparmiare alla povera Roma.

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Nessuno si è posto il problema, fra i tanti illustri e dottissimi padroni o padrini della scienza costituzionale, prevalentemente schierati peraltro in questa campagna referendaria sul fronte del No, che la Repubblica, già malandata di suo per un’infinità di ragioni, rischia di finire bollita anche nei loro pentolini. E di diventare agli occhi persino dei più pazienti o tolleranti cittadini una mummia. Nel cui sarcofago neppure Beppe Grillo riuscirà a infilarsi per dileggiarla perché avrà perso anche lui nel frattempo la capacità di ridere e far ridere.

Potrebbe venire o tornare allora solo il momento dell’uomo forte di turno, di fronte al quale molti rimpiangerebbero, in ordine rigorosamente cronologico, e al netto dei loro errori, che certamente non sono mancati, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Il quale, dal canto suo, potrebbe pentirsi di avere chiesto per quieto vivere anche troppe scuse, come quelle fresche di stampa per avere definito “accozzaglia” la compagnia referendaria del No alla riforma approvata dalle Camere.

Categoria Italia

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