Un manipolo di scombinati M5s

Che debbano lasciare la gestione del comune di Roma è un fatto. Resta di fissare la data. Mel Pd la minoranza si comporta da vero partito

 di Domenioco Cacopardo ItaliaOggi 24.12.2016

Se avessimo voluto un esempio di ciò che, con la riforma costituzionale bocciata dalla maggioranza degli elettori, si voleva evitare e superare, ecco il vecchio sistema ce lo pone sotto gli occhi. Il riferimento è il Pd ed è un riferimento naturale: si tratta del partito che, nonostante tutto, sembra raccogliere ancora una maggioranza molto relativa di consensi e che, attualmente, ha un'ampia maggioranza nella Camera dei deputati. Perciò, «hic et nunc», questo partito è il cardine del sistema politico italiano, salvo quanto può accadere domani, lo smottamento cioè della democrazia esistente e delle sue istituzioni.

Ebbene, il Pd ha celebrato il suo ultimo congresso nel dicembre del 2013. In quella consultazione, Matteo Renzi ebbe il 46,7% dei consensi, mentre il secondo classificato, Gianni Cuperlo raggiunse il 38,4. In virtù di questo risultato, il Partito democratico è governato da Renzi e dalla sua maggioranza. Ebbene, nulla è successo quando il Paese, per l'impulso determinante del segretario del Pd-presidente del consiglio, si è incamminato sulla via delle riforme. Tutto è accaduto dopo l'approvazione della riforma costituzionale che introduceva il monocameralismo sostanziale e abrogava alcune sinecure (il Cnel) o eliminava le competenze concorrenti di Stato e regioni in una serie di materie fondamentali, una coesistenza paralizzante i cui effetti devastanti abbiamo potuto constatare in questi anni.

Tanto per fare un nome e cognome, la responsabilità di questi poteri condivisi è tutta di Franco Bassanini e della sua riforma costituzionale, passata per pochi voti e ancora oggi vigente, anche se il suo autore ne sembra pentito. Il monocameralismo e una legge elettorale fortemente maggioritaria hanno scatenato una specie di guerra di religione che ha estratto una serie di cadaveri eccellenti dai loro loculi e ha mobilitato tutto il notabilitato Pd e degli altri partiti storici. Con la ormai ben nota stupidità politica che lo contraddistingue, il Movimento 5 Stelle s'è aggregato a tutto il vecchiume, ostacolando l'avvio di un sistema il cui unico vero difetto è che avrebbe offerto a quest'accolta di sprovveduti la tragica occasione di governare il Paese.

Osserviamo ora la minoranza del Pd, quella diretta da Pier Luigi Bersani e rappresentata da Roberto Speranza. Ebbene, questo gruppo di esponenti del Pd ha fatto campagna elettorale attiva contro la posizione del partito, propagandando il «No» e votandolo. Ora, mentre sta ancora metabolizzando il successo, questa conventicola di irresponsabili ha annunciato agli italiani che: voterà solo i provvedimenti del governo Gentiloni che condividerà e, per bocca di Bersani, che voterà per l'abrogazione del «jobs act» nell'eventuale referendum celebrabile in primavera, e che, infine, se il governo non abolirà i «vaucher» aprirà una stagione di ulteriore guerra dura nella quale è compreso un voto di sfiducia al ministro del lavoro Poletti.

Di questa operazione ci occuperemo presto.

Qui ricorderò che si tratta di un procedimento anomalo nel nostro sistema nel quale la responsabilità politica degli atti del governo e dei suoi ministri è del capo del governo e basta. E che fu introdotto per volontà di Oscar Luigi Scalfaro, passivamente subita da arrendevoli vertici del Senato, per allontanare dal governo Dini, il magistrato Mancuso, nominato, per volontà del medesimo Scalfaro, ministro della giustizia. Ben a ragione, in quel caso e nei successivi, la presidenza del Senato avrebbe avuto il dovere di opporsi all'introduzione di un fatto eversivo dell'ordinamento.

A parte il fatto che non si è mai visto un gruppetto di militanti di un partito muovere guerra al partito stesso.Anche gli anarchici degli anni '30, una volta assunta una posizione, l'hanno tenuta ferma pagando un immenso tributo di sangue alla Repubblica spagnola. Invece, questi cosiddetti esponenti intendono proseguire la guerra di corsa contro il governo e Renzi, a costo di far archiviare quest'esperienza governativa che, con tanti errori e difficoltà, alcuni passi avanti veri ha prodotto. Nel linguaggio comune si chiama ricatto. Nel linguaggio figurato si tratta di «tafazzismo» : il sistema dei vaucher risale agli inizi degli anni 2000 e alle politiche del lavoro attribuibili a Tiziano Treu prima e a Marco Biagi. Si è sempre trattato di un compromesso volto ad attenuare l'area del lavoro nero per farlo emergere nella legalità economica e contributiva. Tutti sanno che l'abolizione dei vaucher non produrrà un occupato ufficiale di più ma migliaia di lavoratori in nero in più.

Un sistema, questo, che purtroppo dilaga anche fuori del Pd, investendo il sindacato.

La crisi irreparabile di Almaviva, la società dei «call-center» che «avrebbe dovuto» emanare alcune migliaia di licenziamenti, aveva trovato un punto di pausa e, forse, di compromesso nella proposta di mediazione formulata dal ministro dello sviluppo economico Calenda.

Ebbene, giovedì la Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria, dominata dai comitati di base, la frazione irragionevole ed estremista del mondo del lavoro) di Roma ha bocciato il compromesso: fine della fiera.Dalle scorse ore sono in viaggio le lettere di licenziamenti i dipendenti romani e, come sempre, i radicali finiranno come i pifferi di montagna: partirono per suonare e finirono suonati.

 

Insomma, non è il tempo di radicalizzazioni e di ricatti. Non è tempo perché il mercato del lavoro è rivoluzionato dalla globalizzazione e non c'è barba di governo che possa impedire che il fenomeno compia i suoi effetti. Si può solo contenere l'entità del disastro reagendo con la collaborazione del mondo del lavoro: ciò significa trovare la strada per un vero recupero di competitività (tema sul quale ogni anno perdiamo punti anche per merito del parassitismo nazionale, nel quale spiccano le regioni) e puntare sulle produzioni di alta qualità, quelle su cui abbiamo una concorrenza limitata e possiamo imporre un prezzo ben remunerativo.

Siamo, quindi, in una fase di passaggio, nella quale occupa un posto di rilievo la crisi del grillismo: si tratta di una crisi importante che porta al pettine tutte le incapacità e le insufficienze politiche del comico genovese e del suo socio Casaleggio (votati entrambi più al business che all'interesse nazionale); gli errori politici e organizzativi insiti nell'uno vale uno e nel sistema di gestione dei gruppi parlamentari; nella scelta di personale politico raccogliticcio, impreparato e sprovveduto. Le prossime settimane ci diranno se lo slogan «onestà» sia stato una vuota parola cui non sono corrisposti comportamenti specchiati. A Roma si compie la sublimazione del disastro grillino: la sindaca Raggi sembra l'asino in mezzo ai suoni. Eppure vanta un titolo di avvocato. E non s'è resa conto che firmare con il capo del personale una importante nomina a favore del fratello di questo capo sostanziava un conflitto di interessi, salvo l'abuso d'ufficio?

L'agonia dell'amministrazione capitolina continuerà sino a quando –presto- sarà impossibile non togliere la spina, rimandando a casa questo manipolo di scombinati sceso dai colli per conquistare la città.

 

Stanotte è Natale.

Affrontiamolo con serenità: già il 27 è un altro giorno.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata